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Intervista a Laura Efrikian

laura efrikian 1I più giovani la ricorderanno forse come la moglie di Gianni Morandi, eppure Laura Efrikian, nata a Treviso nel 1940, ha alle spalle una carriera artistica che va al di là dei “musicarelli” ai quali la storiografia l’ha indissolubilmente legata. Di origine armena, questa brava ed elegante attrice è stata annunciatrice Rai, volto noto in teatro e in televisione (celebri sono ancora oggi gli sceneggiati David Copperfield e La cittadella), nonché stella del cinema e punto di riferimento per un’intera generazione che ancora sapeva sognare e innamorarsi con un film. Tra i suoi lavori principali, In ginocchio da te, Non son degno di te e Se non avessi più te, diretti da Ettore Maria Fizzarotti sotto l’egida dell’allora consorte Gianni Morandi, quindi il distico con Caterina Caselli Nessuno mi può giudicare e Perdono. Tornata al grande schermo con Cose dell’altro mondo di Francesco Patierno, satira sullo sfruttamento dell’immigrazione, Laura Efrikian ha pensato di concludere questa sua lunga carriera con un libro autobiografico, Come l’olmo e l’edera (MGC Edizioni), di recentissima pubblicazione.

Quando ha capito che un giorno avrebbe voluto fare l’attrice?

Mi dedicai dai cinque ai quindici anni alla danza classica, e siccome ero insonne fin dalla nascita, durante certe notti cercai dei libricini nella biblioteca che avevamo a casa. Erano delle commediole di Goldoni, e dalle battute riportate accanto ai nomi dei personaggi, Mirandolina, Orazio ecc., mi feci un’idea di quello che poteva essere il teatro. Una volta che divenni un po’ più grande, arrivò con grande gioia una compagnia di Cesco Baseggio, che era un attore veneto nostro, e finalmente vidi una commedia in teatro. Allora andai a casa e dissi: “Avevo detto che volevo fare l’attrice? Confermo, voglio fare l’attrice!” Quando poi compii dodici anni, mio padre mi regalò un libro che si intitolava Il teatro per ragazzi con questa dedica: “Può darsi che il teatro diventi per te una cosa seria, intanto leggi questo, poi si vedrà. Baci, papà”. In seguito quel libro andò perduto, stranamente, perché quella era una delle cose che facevano parte del mio bagaglio e perché rappresentava il momento in cui avevo avuto il permesso di fare questo lavoro. Però non è che potessi cominciare così: vennero messi dei paletti, come per esempio superare l’esame di ginnasio almeno, e dico almeno, con la media del sette, quindi passare quello di ammissione alla scuola del Piccolo Teatro di Milano, perché lì c’era mia nonna che mi poteva ospitare. Alla fine di questi due “salti” potevamo riparlarne. Io venni promossa, feci l’esame di ammissione, che andò bene. Fra più di trecento ragazzi, passammo in undici. E a quel punto che doveva fare papà? Hai vinto tu, fallo. laura efrikian 2Io frequentai due anni di accademia, a Milano, e per quel che mi riguarda credo non si possa prescindere da una scuola che ti dia delle informazioni pratiche. Per esempio, ciò che io trovo nei giovani attori di oggi è proprio la mancanza di controllo sul mezzo principe del nostro lavoro: la voce. Adesso passa l’idea che basta essere se stessi, basta essere veri, e così diventi un bravo attore. Non è così: bisogna prima sapere parlare bene italiano, dopodiché tutto quello che hai imparato nel primo anno lo puoi anche dimenticare, perché il tuo cervello non lo dimentica, e puoi cominciare ad affrontare dei personaggi che, se anche parlano in modo convulso con il partner, riesci a seguire senza perderti una parola di quello che dicono. Adesso anche nelle scene d’amore non si capisce nulla! O io sono sorda, o loro sono degli imbucati. Quando mi diplomai, subito ebbi il lavoro; io giravo con il mio diploma, e giravo anche con una lettera di Strehler e Grassi in tasca; era una lettera di presentazione per un regista della Rai che da un po’ di anni era nata. Non ho mai usato quelle carte, però sapevo di avere nelle tasche il lasciapassare. Non mi si poteva dire, tu non lo puoi fare; io lo posso fare perché mi sono preparata per fare questo lavoro. Questo credo potrebbe essere un insegnamento, perché è fondamentale avere tutte le carte in regola. Mettiamo che il fisico era quello di una ragazzina carina, mettiamo anche che per esempio ero adatta alla televisione, ma non tutte le persone anche carine sono giuste per un mezzo “meccanico”; però io non faticai così tanto perché la grande fatica l’avevo fatta quando avevo imparato a parlare. Quando lessi Cristo si è fermato a Eboli davanti a uno specchio, parlando, mi sentivo a posto con me stessa. Se mi rifiutavano, insomma, era perché non ero adatta, e non potevo fare Medea, certamente. Per esempio, Luca Bastianello ha fatto un paio d’anni di scuola a Padova con Alberto Terrani, un mio carissimo amico conosciuto durante il Copperfield. Dopo aver frequentato questa scuola, è arrivato da me perché Alberto me l’aveva mandato, io l’ho sentito e ho detto, è preparato. L’ho portato da un agente e adesso fa il protagonista in televisione. Si è ben preparato, è un bel ragazzo, quindi… Ovviamente non per tutti può essere facile la strada, ci sono anche tanti altri fattori, però quando tu ti prepari e quando ti senti forte del fatto di aver avuto dei buoni maestri, tutto il resto secondo me viene quasi spontaneo. Questo per dire come ho cominciato. Il perché non lo so, io dico sempre che avevo il piccolo cromosoma, ma poi non mi è stato tanto difficile quanto invece lo fu, nel 1965, lasciare tutto per sposarmi. Qui darei qualche consiglio, mai lasciare un lavoro, soprattutto se va bene, e cercare piuttosto di conciliare lavoro, amore, marito e figli e tutto, perché quando una donna lascia il suo lavoro, perde un po’ di forza si direbbe contrattuale; insomma perde un po’ di autonomia. Quindi è meglio tenerselo un lavoro, se va bene.

Lei ne parla in modo esplicito nel suo libro, Come l’olmo e l’edera, quindi vorrei chiederle quale peso ha avuto nella sua vita questa avventura al fianco di un artista tanto osannato come Gianni Morandi.

Non è mai stata una vita facile, quindi anche qui dovrei dare un consiglio: mai sposare un attore o un cantante. Sono delle persone straordinarie, per carità, ma ti accorgi poi, dopo un po’, che la loro amante è il pubblico. Io credo che Gianni abbia dato al suo pubblico più di quanto sia umanamente possibile. Loro amano il pubblico e tu vieni sempre per seconda; io all’epoca, siccome ero molto innamorata, dicevo: per carità, sono così felice, faccio il gregario, Gianni va avanti e io preparo la strada. Ma non è l’uomo che hai sposato, è uno che sta al telefono con i discografici, li riceve, e poi qualche volta, alla sera, stremato sul divano, dice: “Che fatica, Laura, che faticaccia!”copertinacomeolmo Ecco il motivo per cui non mi sono più voluta mettere in condizione di essere la donna sposata per avere un marito di o per essere di nuovo la moglie di… Il fatto di Morandi è un caso un po’ clamoroso, perché io e i miei figli ne abbiamo sofferto parecchio: essere sempre la moglie di, il figlio di… Marianna ha risolto lasciando subito il lavoro d’attrice; Marco è un po’ più coraggioso, poi lui ha un talento particolare e adesso sta avendo successo con una commedia che si chiama In nome del padre, storie di un figlio di… È uno spettacolo molto divertente, lui è bravissimo, e mi fa ben sperare nonostante gli chiedano sempre se è il figlio di Gianni, e di far sentire come canta. Insomma, è stato un po’ un mattone sulla testa di tutti noi, per i figli e la moglie che non sanno come fare per liberarsi da questa schiavitù. Certo, è uno schiavitù affettuosa, credo che i miei figli non vorrebbero un padre diverso, né io vorrei aver avuto un marito diverso, anche perché tutto sommato è, come si dice, avere il culo nel burro.

Lei ha coltivato una grande amicizia con Luchino Visconti. Può raccontarci qualcosa in proposito?

Visconti aveva nel sangue, per me e per chi l’ha molto ammirato, qualcosa che lo rendeva assolutamente unico per il gusto che aveva, per la signorilità che dimostrava, anche al di fuori del suo lavoro. Lui aveva attori, magari tedeschi com’è successo con Helmut Berger, o francesi, con i quali parlava tutte le lingue; prendeva l’attore da parte, e lo vedevi discorrere, gli spiegava la parte, con una pazienza e un amore… Insomma, era un regista straordinario, e certo mi dispiace non aver potuto mai far niente con lui. Io ho conosciuto meglio l’uomo. Mi ricordo l’ultima volta che lo vidi: lui veniva da Villa Erba, dalle parti di Cernobbio, perché lì aveva avuto un ictus e si era spostato in un appartamento di Roma. Io non sapevo se potevo disturbarlo, e poi fu lui a chiamarmi, e con un gran male di cuore, perché sapevo quanto era orgoglioso della sua bellezza, della sua forza, andai da lui: vederlo ridotto in carrozzella era una cosa veramente triste. Fu assolutamente signore come al solito, e appena mi vide mi disse: “Tu sei una streghetta, perché oggi ho visto, replicato nel pomeriggio, il David Copperfield, e mi hai fatto piangere. Non so se ti rendi conto, mi hai fatto piangere”. E insomma, per me è stato un gran complimento. Poi si è seduto su una poltrona perché voleva sentire una canzone di Gianni, che chiamava Il prato verde, ma era la canzone Un mondo d’amore, e mi ha detto di sedermi accanto a lui. Per terra, vicino a lui, per tutta la serata mi accarezzava i capelli. Quella fu l’ultima volta che lo vidi e che lo sentii, e ancora adesso, se ne parlo, mi commuovo, guarda come sono stupida.

Qual è il suo film preferito tra quelli girati da Visconti?

Il Gattopardo, Senso, Ludwig e La terra trema, tratto da Verga, credo siano capolavori. Per quest’ultimo film, Visconti raggiunse la Sicilia con una truppa risicata; era appena finita la guerra, c’erano pochi soldi, poca pellicola, poco di tutto. Lui era un grande cavallerizzo, aveva anche avuto un Arc de Triomphe, e aveva questo cavallo che era la sua grande passione. A un certo punto, i soldi giù in Sicilia vennero a mancare, e lui fece una telefonata e vendette il cavallo.

Il libro parla diffusamente di suo nonno, nato nel cuore dell’Armenia, un paese che durante la Prima Guerra Mondiale subì un terribile genocidio. In che misura il ricordo delle sue remote origini armene ha influito sul suo carattere?

Non lo so, perché conobbi mio nonno fino agli otto anni, poi venne a mancare. Lui non parlò mai molto di sé, tutto quello che io ho, ed è stato tanto, l’ho trovato in un baule nel sottoscala della mia casa di Treviso. Mio padre mi aveva detto che quello era il baule del nonno, e che come tale non si poteva toccare. Ora io credo che dire a una ragazzina, che già aveva dimostrato di avere una curiosità inesauribile, quella cosa non si può toccare, era come dirle vai a vedere cosa c’è in quel baule. Così scoprii un po’ mio nonno, anche se lui lasciò l’Armenia ancora prima del genocidio del 1915, perché già nel periodo 1880-1888 i turchi andavano di villaggio in villaggio a massacrare le persone. Era come una specie di sport per loro, i turchi sono molto… non dico cattivi… ma hanno questo senso delle armi, del potere. Poi l’Armenia era l’unico paese cristiano in mezzo a tutti gli altri mussulmani, quindi anche lì c’erano dei problemi religiosi. Comunque da ragazzino mio nonno giunse a Istanbul dal suo paese, che non so bene nemmeno quale sia, e aveva i piedi piagati dal gran camminare. Lo presero e lo misero sulla prima nave che salpava per farlo arrivare a destinazione almeno vivo, e quella nave partì per Venezia. Fu perciò del tutto casuale che io avessi un nonno armeno. Non so cosa potrei avere io di armeno, perché so di avere delle cose che ho preso da mio papà, e altre prese da mia mamma, che chiamavamo la “longobarda”; io da lei ho preso un certo carattere, e forse da mio padre e da mio nonno un senso della vita più agreste, più pigra, probabilmente anche più romantica.

Quale ruolo da lei interpretato sul piccolo e grande schermo ricorda con maggior partecipazione?

Come sempre si ricordano le cose che non hanno successo. Io feci un film al quale diedi credo la vita, che si intitola La suora giovane; era un film molto nouvelle vague, tutto in bianco e nero, girato in una Torino notturna, e tratto da un bellissimo romanzo di Arpino. suora giovaneIo mi innamorai di questo libro, seppi che ne stavano facendo un film e feci follie per prendervi parte. Ho proprio dato tutto a questa suora, ma il pubblico non mi ripagò. In compenso però facevo un film con Bobby Solo e le cose si riequilibrarono. Ebbe un successo stellare, e da lì cominciò la serie dei fidanzamenti, quindi fui la fidanzata d’Italia, poi la moglie d’Italia, la mamma d’Italia, e adesso anche la nonna d’Italia!

La sua ultima apparizione cinematografica, e al contempo un po’ il ritorno al grande schermo, è il recente Cose dell’altro mondo. Com’è stata coinvolta in questo progetto?

Io ero nell’ufficio della mia agente quando chiamò Francesco Patierno, il regista del film, perché voleva qualcuno per il personaggio della madre. A un certo punto della loro conversazione, sentii la parola Treviso, che è il paese dove sono nata, e chiedendo delucidazioni scoprii che il film lo stavano girando proprio lì. A quel punto risposi che volevo esserci perché andavo a Treviso da mio fratello. E da qui nacque tutto. Poi parlai con Patierno, che mi dette la conferma. Solo che a Treviso non ci permisero di lavorare perché il sindaco aveva trovato disdicevole questo film. Allora lo girammo tutto a Bassano del Grappa, a parte degli interni che vennero girati a Treviso, nel carcere, perché questa struttura rientra in un discorso di extraterritorialità. Ho un grande amore per il mio paese, per Venezia, per Treviso; siccome non ci torno quasi mai, l’occasione per fare un film era perfetta. E poi mi sono divertita a interpretare questa vecchia mamma con l’Alzheimer, che non si sa se ce l’ha o fa finta, perché ha dei momenti alterni di lucidità. È un personaggio “vecchio” con cui chiudere una carriera cominciata con un personaggio per le ragazzine. È una sorta di coscienza morale, un personaggio che mette la parola fine.

Per quale ragione il finale del film è stato cambiato?

Non lo so, devo chiederlo a Patierno. Non gliel’ho mai chiesto, anche se rivedendo meglio il film, quel finale sarebbe stato perfetto. Originariamente il film finiva così, con la vecchia che brucia e tutti che guardano. Fine. Poi si vedeva il mare con un barcone o un gommone con dei neri che cercano di arrivare. Una nave di soccorso italiana subito segnala il problema e l’equipaggio va ad aiutare questi clandestini: viene data loro l’acqua, si cerca di portarli sulla nave, e uno loro domanda: “chi siete?” E un membro dell’equipaggio risponde: “italiani!” D’un tratto questi prendono il canotto e ritornano da dove erano venuti. Questo finale era forse un po’ forte, però l’avrei visto bene.

cose_dell_altro_mondo_2Com’è stato lavorare con Abatantuono e Mastandrea? Che persone sono?

Io conoscevo solo Mastandrea, che è un ragazzo romano divertentissimo, molto preparato e coinvolto. Abatantuono ormai questi film li fa con un piede solo, lui è così, è nato così. Qui dice qualche parola in veneto, ma è comunque un personaggio consolidato. È una persona che mi è piaciuta molto, educata e simpatica, anche se non ho avuto molte scene con lui; ci siamo solo trovati a mangiare assieme polenta e baccalà.

Nel suo film d’esordio, Ercole alla conquista di Atlantide di Vittorio Cottafavi, lei ha recitato accanto a un colosso, che però non era Ercole, bensì Gian Maria Volonté. Può raccontarmi qualcosa dell’esperienza?

Io interpretavo la figlia della regina di Atlantide, e questa fu la prima versione, come dire, “ironica” dei cosiddetti peplum. Dopo Cottafavi, infatti, venne Duccio Tessari che girò Arrivano i titani. Questo film ebbe diversi riconoscimenti in Francia, e anche adesso, quando cerco di vederlo sull’iPad, ci sono delle cose che ancora mi divertono molto. Io dovevo essere una principessa, però venivo legata a un palo, a un cavallo, poi arrivava l’eroe a togliermi le corde, dava loro un colpo di spada, dava un colpo in testa a me e io cadevo per terra; insomma questa principessa, anziché essere un personaggio di una certa importanza, alla fine era solo una sfigata a cui capitava di tutto. Vittorio Cottafavi lavorava per la televisione, dove faceva delle commedie, in più girò questo film; qui c’era un gran consiglio dei re, in cui si decideva chi andava a combattere e chi no, e il regista mise mezzo teatro italiano, così con una o due pose le comparse avevano un po’ di soldi in più. Non era una scelta artistica, per quanto Volonté e altri fossero validissimi attori. Andarono lì, si fecero un po’ di pose, e raccattarono qualche soldo. Allora Gian Maria non era nessuno, il successo cominciò a ottenerlo con Per un pugno di dollari di Sergio Leone, soltanto qualche anno più tardi, nel 1964.ercole_alla_conquista_di_atlantide_reg_park_vittorio_cottafavi_003_jpg_tqte Infatti con Volonté e altri amici avevamo in mente di portare in giro per l’Italia una specie di carro di Tespi; pensavamo di utilizzare un camion, che aprisse il cassone e che ci permettesse di recitare. Così facemmo una riunione a casa di Volonté, e lui disse di scusarlo, che sarebbe andato a fare un film in Spagna, però sotto falso nome; lui e Leone si sarebbero dovuti spacciare per americani, anche perché gli era appena nata la figlia avuta con Carla Gravina e non poteva rinunciare al lavoro anche se sarebbe stato una cagata. E fu invece Per un pugno di dollari, e fu un capolavoro. Noi siamo stati un gruppo di attori che ha avuto fortuna, anche con la televisione, che per la nostra generazione era un mezzo nuovo visto che all’epoca aveva una decina d’anni. Non era e non è facile fare l’attore in televisione, specialmente allora perché le luci venivano tutte dall’alto. Avevamo tutti delle occhiaie spaventose, e non era semplice riuscire a bucare il video anche senza avere delle inquadrature che in qualche modo ti esaltassero. Ci volevano dei visi particolari, e chi ce li aveva è riuscito a fare delle cose anche molto carine.

Lei ha lavorato anche con Lina Wertmüller…

Sì, in Rita la zanzara. Lei è una persona straordinaria, io la conoscevo, poi litigò con il produttore, e il finale del film lo girò Ettore Maria Fizzarotti, che conobbi quando girai Una lacrima sul viso: cercavano un’attrice giovane, che facesse la parte della fidanzata di Bobby Solo, e si ricordarono di avere visto ne La cittadella questa ragazzina, con una malattia ai polmoni, e tutti dicevano che era perfetta. Ed ecco come mi trovarono!

Un’opinione a freddo sui “musicarelli”?

Devo dire la verità: allora li avevo presi sotto gamba, come si prende un prodotto commerciale e non artistico, ma con il passare degli anni cominciai a rivalutarli. C’è un certo pubblico, composto da spettatori della mia età o con dieci anni di meno, che li ha visti e che si è innamorato con quelli. Ricordo sempre con affetto che un giorno, di ritorno dall’Africa, trovai un Venerdì di Repubblica, lasciatomi sul tavolo da un amico, in cui Veltroni si occupava di critica cinematografica. Nella programmazione c’era proprio Una lacrima sul viso, e lui scrisse: “Il film è quello che è, ma vale la pena vederlo per rivedere la ragazza dei nostri sogni, noi ci eravamo tutti innamorati di lei”. Andai da Veltroni e lo ringrazia, perché fece una cosa molto carina. La verità è che molti ragazzini venivano parcheggiati dalle mamme al primo spettacolo, quello delle due e mezza, tre, e tornavano a prenderli all’ultimo, e lì si vedevano il film tre o quattro volte, e dai dodici ai cinquant’anni c’era chi mi voleva come fidanzata, chi avrebbe voluto sposarmi, e insomma è stata un’avventura finita bene!

A cura di Marco Marchetti

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