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World War Z

wwz1World War Z è innanzitutto un grande ossimoro, un film fatto di contraddizioni intrinseche, giunture non perfettamente saldate, connessioni e fessure di senso che lo rendono a tratti claudicante, seppur capace di presentarsi come capolavoro pressoché perfetto del genere. È forse per questo che la produzione scelse a suo tempo Damon Lindelof per emendare le numerose versioni (o varianti) stese in precedenza da J. Michael Straczynski e Matthew Michael Carnahan, perché Lindelof era lo sceneggiatore reo confesso di Prometheus, che era un film tanto accattivante quanto pasticciato, così innovativo a livello registico da ottundere da solo le brutture di scrittura che ne inficiavano ogni logica. Stessa cosa deve averla pensata l’elvetico Marc Forster, che non voleva una pellicola compiuta, semmai un qualcosa di indefinibile, che procedesse per suggestioni anziché per criteri di razionalità, che giustapponesse i suoi addendi per erigere un’architettura narrativa in qualche modo visionaria. World War Z è tutto questo, un’accozzaglia formicolante di immagini, esplosioni, musiche perturbanti (composte dall’ormai onnipresente Marco Beltrami) che svicolano dall’horror per farsi emozioni soffuse, piene di imprevedibili scricchiolii, sbalzi di tensione, corse frenetiche tra orde di morti appestati e rabbiosi.

La storia è ormai nota a tutti (Brad Pitt è Gerry Lane, un inviato delle Nazioni Unite che viene spedito in giro per il mondo nella speranza di individuare un vaccino capace di fermare l’epidemia di zombi), eppure il risultato è tanto più interessante quanto (volutamente) diversificato rispetto al primo director’s cut, del tutto cambiato in fase di montaggio. Sì, perché il WWZ che stiamo vedendo al cinema, già cosa aliena rispetto all’omonimo romanzo di Max Brooks, preferisce puntare su un caposaldo immarcescibile della cultura statunitense, ovvero la preservazione della famiglia wasp, unita a dispetto di ogni disgrazia, vittoriosa nonostante una moria su scala globale che miete milioni di vittime al secondo. Il nostro Brad è perciò un survivalista duro e puro, che senza mai aggrottare un sopracciglio, fa la cosa giusta in ogni situazione, scappa quando deve scappare, spara quando ritiene sia saggio premere un grilletto o utilizzare un grosso coltello da cucina come baionetta torcibudella. Trovando sempre il tempo di chiamare la consorte per avvisarla che, nonostante Israele sia stato cancellato dal pianeta, e lui sia l’unico superstite insieme a una bellissima agente del Mossad (Daniella Kertesz) priva di una mano, tutto sta procedendo secondo i suoi piani. Perché Brad è l’eletto, l’highlander della fine del mondo, l’Odisseo dall’infinita arguzia che da solo coglie ciò che nessuno è stato capace di cogliere, che vede le cose ancor prima che queste accadano. È un concetto assurdamente americano, lo sappiamo, ma è l’eleganza di stile che angoscia lo spettatore anziché strappargli un sorriso scanzonato, è il modus operandi di questo cinema folle, granuloso e capillare a infettarci molto più e molto meglio di quanto facciano i morsi idrofobi degli ammorbati. wwz2

E proprio allo scadere dei tre quarti di proiezione, inaspettatamente, eppure con antitetica coerenza rispetto al disegno complessivo, WWZ si tinge di un’aura disordinata, curiosa, a tratti esoterica e difficilmente interpretabile: gli eroi, fuggiti da Gerusalemme a bordo di un aereo di linea, fronteggiano un focolaio epidemico in alta quota, sfasciano la carlinga del mezzo a suon di bombe per uscire pressoché illesi dall’incidente che ne segue. Gli unici incolumi a dispetto di una strage immensa. Peccato, perché la versione originale della pellicola era di tutt’altra pasta, che speriamo di poterci degustare in apposita copia dvd, e cioè il velivolo, anziché “atterrare” dalle parti di un centro epidemiologico gallese, se ne andava in quel di Mosca, e Brad veniva sequestrato insieme ai compagni di viaggio da un burbero esercito di russi. E da questi assoldato per ripulire le metropolitane della città dalle creature assetate di sangue. Era il freddo il vero tallone d’Achille dei morti viventi, e mentre l’inviato dell’ONU si faceva la gavetta come prigioniero moscovita, la sua dolce metà si prostituiva in un’isoletta rifugio delle Everglades, concedendosi a un soldato (il noto Matthew Fox, che qui compare giusto in una breve apparizione a inizio film) in un momento in cui il pane veniva a mancare e nessuno dava niente per niente. Chissà perché, la Paramount ha cambiato le regole a gioco inoltrato, e compiendo una tremenda azione moralizzante ha trasformato il campo profughi della famiglia Lane in un posticino garbato e pulito, nonché il rispettivo marito e padre nell’eroe senza colpa e senza macchia della resistenza zombesca. Poco importa, perché a vedere il risultato finale, l’antipatico Forster ci ha comunque azzeccato. Che il baldanzoso Brad trovi il modo per sedare il contagio, è cosa nota anche a chi non mastica le regole dell’horror ad alto budget, e se per fare questo deve contare sulla presenza del sempre capacissimo Pierfrancesco Favino, qui nelle vesti di un medico, tanto di cappello. A svelare di più, si cadrebbe nell’illecito, basti dire che la scena finale è quanto di più ansiogeno l’intera industria degli zombi (i dati più completi la valutano attorno alle cinquanta pellicole all’anno di una certa fattura) abbia saputo inscenare.

Marco Marchetti

WWZ

Regia: Marc Forster. Sceneggiatura: Damon Lindelof, Drew Goddard, J. Michael Straczynski, Matthew Michael Carnahan. Fotografia: Ben Seresin. Montaggio: Roger Barton, Matt Chesse. Musica: Marco Beltrami. Interpreti: Brad Pitt, Mireille Enos, Pierfrancesco Favino, Daniella Kertesz. Origine: USA. Durata: 116min.

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