Oltreconfine: i film che non ci fanno vedere
When Evening Falls on Bucharest or Metabolism
Titolo originale: Când se lasă seara peste Bucureşti sau metabolism. Regia: Corneliu Porumboiu. Sceneggiatura: Corneliu Porumboiu. Fotografia: Tudor Mircea. Montaggio: Dana Bunescu. Interpreti: Bogdan Dumitrache, Diana Avramut, Mihaela Sirbu, Alexandru Papadopol.. Origine: Romania. Anno: 2013. Durata: 89 min.
Era il film migliore di Locarno, ma pochi se ne sono accorti. Anzi, forse nessuno. Eppure un premio lo avrebbe meritato, almeno una menzione educata, una pudibonda gratifica, persino una strizzatina d’occhio spacciata per gentilissimo encomio. Invece niente. L’ultimo grande film di Corneliu Porumboiu (ve lo ricordate, A est di Bucarest?) è passato in sordina alla recente kermesse del cinema, forse perché la critica era troppo annoiata dai film precedenti, soprattutto quelli che avrebbero fatto incetta di onori e calorose strette di mano, forse perché il film medio di Locarno, da anni a questa parte, altro non è che un minestrone per spettatori cerebrali, altrimenti noti come segamentalisti. Pertanto presentare una pellicola di così grande rigore formale, che cita il miglior Antonioni frullandolo con tutti gli strumenti del più classico cinema d’autore (piani sequenza, lunghi ma densi dialoghi ecc.) poteva rivelarsi il modo più rapido per tirarsi la zappa sui piedi. Eppure When Evening Falls on Bucharest or Metabolism è un capolavoro, senza se e senza ma. Lo è perché è perfetto nella sua delicatezza, e perfettamente delicato nel suo equilibrio. Lo è perché è una riflessione, forse compiaciuta, forse inconsapevole, sul cinema e su ciò che siamo.
La vicenda segue la vita di Paul (Bogdan Dumitrache), regista, che una mattina si sveglia e finge una gastrite pur di non presentarsi sul lavoro e girare una scena di nudo che avrà per protagonista la sua attrice e amante Alina. Ma in realtà Porumboiu utilizza lo stratagemma dell’infortunio per introdurre una pausa nel suo lavoro, che cessa di diventare il lavoro del (o di un) regista, lo stesso Porumboiu o la sua ombra Paul, per trasformarsi in una condizione di stallo emotivo ed esistenziale. Non si opera più, ma si riflette su ciò che si potrebbe fare, o su ciò che si poteva fare e non è stato fatto. È una strategia dell’indecisione, quella inscenata dall’abile rumeno, che a tratti ricorda il wendersiano Lo stato delle cose, con l’unica differenza che la macchina da presa, anziché cascare a terra e puntare il suo occhio sul vuoto, su quello che continua a scorrere tutt’attorno, qui si inabissa nelle viscere del tentennante protagonista, alla ricerca di una patologia che possa dimostrare all’arcigna finanziatrice, furente per i ritardi di produzione, che la malattia del suo sottoposto non è una invenzione. Naturalmente il nostro ha scambiato per tempo i filmati clinici, manipolando nomi, date e dati, e non gli ci vuole molto a far figurare un’infermità che in realtà è soltanto il frutto della sua abilità elettronica.
Che cos’è il cinema? Che cos’è la realtà? Paul se lo chiede costantemente, approfittando di questo intervallo prolungato, e mentre accompagna Alina a casa si abbandona a un elaboratissimo monologo sul traumatico passaggio dalla pellicola al digitale. Alina non capisce, d’altronde lei non conosce nemmeno Monica Vitti, ma Paul capisce fin troppo, soprattutto quando durante le prove di recitazione la sua sceneggiatura rischia di trasfondersi sul piano della realtà, permettendogli di scoprire una tresca amorosa che la sua primadonna intrattiene con qualche sconosciuto. Come nel film ancora intrappolato su carta che (forse) il regista non girerà: nella finzione Alina esce dalla doccia e intercetta del tutto casualmente il dialogo segreto del marito, nella stanza accanto; nella vita Paul esce dalla doccia per origliare la conversazione privata, e molto intima, della sua compagna. When Evening Falls… è pieno di riferimenti incrociati, sottilissimi, nascosti, che spesso si perdono nel garbuglio generale di gestualità e ammiccamenti, metabolizzati dall’accuratezza maniacale del suo demiurgo, alle volte palesi e in qualche modo profetici.
Impossibile non chiedersi se per il dialogo in cucina (cinese) Porumboiu non abbia addirittura scomodato l’omonimo episodio moscovita che vide Nixon e Chruščëv partire dall’alimentazione per intavolare un più ampio dibattito sui massimi sistemi economici allora dominanti. D’altronde la tesi di Paul lascia pochi dubbi a riguardo: c’è una teorematica connessione tra il modo di consumare il cibo, di preparare gli alimenti, sminuzzarli e servirli, e l’evoluzione dei relativi sistemi culinari. La cucina araba è collocata sull’ultimo gradino di questa immensa piramide sociale, perché è grassa, succulenta, e presuppone l’utilizzo delle mani per degustarne le pietanze; l’europea a metà strada, c’è un più spiccato interesse per l’estetica, soprattutto grazie alle posate, che rendono le porzioni più piccole e piacevoli, anche se non abbastanza garbate da poterne fare la punta di diamante della gastronomia; l’orientale è invece la summa di tutte le sofisticherie teoriche, perché coniuga l’eleganza di un piatto, la disposizione estetizzante delle sue cibarie, con la delicatezza dei sapori, le simmetrie geometriche delle portate, l’intransigenza fiscale delle vivande sopra collocatevi. Tutto questo grazie alle bacchette, che sono piccole, semplici e con un design raffinato, che giocoforza ha influito sulla preparazione del cibo che a sua volta ha influito sulla produzione degli strumenti per goderselo. Come dare torto a Paul? Stiamo parlando di cinema, ma anche e soprattutto di metabolismo. E quando la sera scende su Bucarest, e sulle portate di sushi che decoreranno le nostre tavole, sarà difficile non vedere Antonioni con occhi nuovi.
Marco Marchetti