Priscilla Pizzato ha dedicato un documentario, ora disponibile su Arte in versione francese, a Vivien Leigh. Un’occasione per tornare a parlare di un’attrice grandiosa.
L’attrice eroina
Ho visto per la prima volta Via col Vento quando ero bambina, probabilmente in tv durante il periodo natalizio, come d’altronde accade ogni anno, quest’ultimo incluso. A quel tempo ovviamente non mi ero spinta ad una riflessione profonda sulle tematiche del film come, ad esempio, la guerra tra sudisti e nordisti. Tantomeno potevo cogliere in filigrana i riferimenti ad una società americana in cui erano ben radicati quei noti pregiudizi razziali che suscitano acceso dibattito ancora oggi. Mi riferisco anche alla recente controversia nata attorno al film e sfociata nell’appello «boicottiamo Via col vento» dello sceneggiatore John Ridley (vincitore del premio Oscar per 12 anni schiavo), come direbbero i francesi franchementje m’en fous, almeno per ciò che riguarda il tema di questo contributo. Quel che conta è che rimasi semplicemente affascinata dall’eroina. Rossella O’Hara era fragile, in balia dei suoi sentimenti, molto spesso frivola, ma il più delle volte così maledettamente tenace. Il volto di Vivien Leigh, il suo sguardo appassionato e il suo muoversi vorticoso tra disperazione e coraggio combaciavano perfettamente con ciò che avremmo voluto vedere sul grande schermo per incarnare il personaggio creato da Margaret Mitchell che una volta visto il film poté esclamare senza esitazione: «Eccola la mia O’Hara».
Qualche anno è passato e ho potuto vedere e rivedere il film, un tempo che è servito per addentrarmi nella carriera di questa splendida attrice, nonché per indagarne la vita, tanto meravigliosa quanto caotica e turbolenta. Non ho potuto contenermi dalla gioia, dunque, nel veder apparire sul sito di Arte France il documentario di Priscilla Pizzicato dal titolo Vivien Leigh, autant en emporte le vent, che sta come a ribadire che occorre partire proprio da lì, da quella pellicola vincitrice di 8 premi Oscar e che innalzò Vivian a star internazionale. Quel ruolo, così ardentemente voluto, la rese finalmente degna di stare al fianco dell’attore e regista britannico Laurence Olivier, all’epoca al vertice della sua carriera, osannato da critica e pubblico e che non poté trattenersi nel dichiarare: «Sono l’uomo che ha sposato Scarlett O’Hara».
Vivien Leigh, una donna divisa in due
In un susseguirsi di immagini di repertorio il percorso che viene segnato non si esaurisce con il suo incipit. Il documentario ripercorre la vita dell’attrice nell’esatto intento di creare un intreccio perfetto tra le tappe più importanti della sua carriera e i momenti che riguardano invece una sfera più intima e profonda. Le tante prove attoriali che la vedono artista indefessa si collocano in altrettanti periodi di sconforto emotivo, tra abuso di alcol e tabagismo sfrenato. Vivien è una personalità complessa, una donna divisa in due: l’Inghilterra e l’America, il cinema e il teatro, la realtà e l’immaginario dei suoi personaggi. L’attrice soffre fin da piccola di un forte malessere mentale che si acuirà con il passare degli anni, in seguito le verrà diagnosticato di essere affetta da sindrome bipolare. Questo non le impedisce di ottenere un secondo Oscar per la sua sublime interpretazione di Blanche Dubois al fianco di Marlon Brando in Un tram che si chiama desiderio per la regia di Elia Kazan, ruolo che aveva già incarnato a teatro e che le valse non poche critiche: il suo stile venne giudicato eccessivamente british, tra il composto e lo snob. Fortunatamente i pareri furono discordanti, perché lo spessore che Vivien donava a Blanche rivelava la magnificenza di questa indomabile attrice, mandando in estasi il pubblico.
Le nevrosi di Blanche sono le stesse di Vivien, il temperamento quasi virile e risoluto della sua vecchia eroina lascia il passo alla postura scomposta e informe di Blanche, il suo nascondersi dietro un perbenismo spicciolo è solo una barriera dietro la quale celare un animo turbato e perverso.
Durante la lavorazione del film, l’attrice inglese fu vittima di bruschi cambiamenti di umore, in preda alle sue nevrosi si lasciò andare ad una sessualità disinibita. Le due donne legarono le loro vite indissolubilmente fino a divenire l’una l’ossessione dell’altra.
Un animo irrequieto, una grande artista
Il documentario esalta lo splendore attoriale di Vivien Leigh, la luce indomita che sprigionano i suoi personaggi nell’essere così fedelmente interiorizzati, al contempo non intende offuscare il lato più torbido e promiscuo di uno stato psichico deteriorato, indissociabile dalla sua carriera. È chiaro che la vitalità di quest’attrice non può e non deve essere intrappolata in quelle due iconiche interpretazioni che le diedero lustro nell’olimpo della settima arte. Allora a sollecitare il ripercorrere la sua vita, ci sono altri momenti salienti della sua carriera: il vasto repertorio shakespeariano portato instancabilmente in scena a teatro, la condivisione di palcoscenico e set con il marito e partner artistico Laurence Olivier, la collaborazione con Winston Churchill e le difficoltà incontrate nel confrontarsi con registi del calibro di Kazan e Fleming.
«All’annuncio della sua morte, le insegne luminose di West End si spengono. Ultimo omaggio del quartiere dei teatri di Londra a colei che aveva così spesso preferito le sue luci a quelle di Hollywood», il documentario termina sottolineando chiaramente che Vivian Leigh non è stata solo una grande stella del cinema, dalla bellezza perturbante e attrattiva, ma un’attrice incredibilmente dotata e destinata a entrare nella storia.
Jenny Rosmini
Vivien Leigh, autant en emporte le vent
Regia: Priscilla Pizzato. Origine: Francia, 2019. Durata: 55′.