Ang Lee torna al cinema dopo tre anni dal suo ultimo film Motel Woodstock con un’opera che di primo acchito lascia piuttosto scettici, ovvero Vita di Pi. Ma si deve considerare che se un autore come Ang Lee si cimenta con un film in 3D e dal forte impatto visivo, vale comunque la pena di vedere cosa l’ha spinto ad una tale scelta, apparentemente così lontana dai suoi precedenti lavori.
Partendo dalla storia, molto favolistica e simbolica, il regista orientale tratta del rapporto del giovane Piscine Molitor Pate con la religione e la spiritualità. Nato e cresciuto in uno zoo dell’India Francese, il piccolo Piscine odia il suo nome e decide di modificarlo in Pi mostrando una forte attitudine verso la matematica, attitudine nata dall’esigenza di comprendere cosa sia il Pi greco per spiegarlo ai suoi compagni, onde evitare equivoci. L’infanzia di Pi è anche caratterizzata dalla volontà di seguire e conoscere tutte le religioni, cercando i migliori aspetti di ognuna. In lui matura la convinzione che in tutte le creature del mondo ci sia un’anima che rappresenta il legame diretto con il creatore, ma questa convinzione è messa alla prova osservando i comportamenti bestiali e irrazionali della tigre dello zoo Richard Parker. Pi è un ragazzo sconvolto dal dubbio, a maggior ragione quando un naufragio colpisce il mercantile su cui sono imbarcati tutta la sua famiglia e gli animali. L’unico a salvarsi è proprio il giovane Pi che si ritrova su una scialuppa con una scimmia, una zebra zoppa, una iena e la temibile tigre, che ovviamente rimarrà l’unica superstite. Pi e la tigre vagano sperduti nell’ Oceano Pacifico, affrontando le difficoltà che comportano la carenza di provviste e la solitudine, tra i due si instaura un rapporto di timore e di rispetto. Pi sa che la tigre non lo mangerà finché lui provvederà al suo sostentamento.
La metafora nella sua semplicità è tra le più forti che si potessero escogitare: Pi è come un Dio per Richard Parker, creatura che dipende da lui, ma che non riesce a comprenderlo e a tratti tenta perfino di distruggerlo, senza mostrare mai la sua gratitudine. La tigre è amata da Pi, ma incapace di amarlo a sua volta. I richiami a varie religioni sono molteplici, dall’episodio biblico dell’Arca di Noè a episodi tratti dall’induismo. Questo racconto di formazione, questo viaggio dell’eroe, ha un sostanziale rapporto con qualcosa di profondamente arcaico, ma che utilizza i più moderni espedienti visivi offerti dal cinema. In questo si identifica l’importanza del film e si conferma il talento di Ang Lee nel far coincidere un gusto estetico per l’ambiente con le storie più differenti e con i generi più variegati. Pi è un novello Mowgli, che si trascina in sé tutti i dubbi della gioventù moderna e globalizzata, assecondando una tendenza a guardare all’India come terra di meraviglie antiche e splendore contemporaneo, luogo di contraddizione e interesse antropologico, culturale e spirituale.
Tratto dall’omonimo romanzo di Yann Martel, Vita di Pi è un film molto ricco sia per quanto riguarda la storia, che le tecniche impiegate e dimostra che il cinema ha fatto un enorme passo avanti nella gestione del kolossal 3D, inaugurato da Cameron nel 2009 col suo popolare film Avatar. Se sapienza e abilità narrative si incontrano tutto è possibile.
Giulia Colella
Vita di Pi
Regia: Ang Lee Sceneggiatura: David Magee Fotografia: Claudio Miranda Montaggio: Tim Squyres Interpreti: Suraj Sharma, Infan Khan, Gèrard Depardieu Origine: USA, 2012 Durata: 120’.