È una strana Mostra del Cinema quella che è appena iniziata, navighiamo in un Lido quasi deserto, tutti con le mascherine in sale dimezzate, molto più silenzio degli altri anni e davanti a noi muri per non vedere il red carpet. Sono iniziati per fortuna anche i film, partiamo da due lavori che si interrogano sulla memoria e su una pandemia.
Mila-Apples di Christos Nikou è il film di apertura di Orizzonti, la sezione dove ci sono le opere prime e seconde, e racconta una storia nel mezzo di una pandemia globale che causa un’improvvisa amnesia: il protagonista è Aris, un uomo di mezza età, che perde la memoria e si ritrova coinvolto in un programma di recupero pensato per aiutare i pazienti che non sono stati reclamati da nessuno. Aris decide di costruirsi una nuova identità, svolge i compiti che gli vengono prescritti dai medici quotidianamente su delle audiocassette, in modo da potersi creare dei nuovi ricordi e documentarli con una macchina fotografica; forse torna a una vita normale e incontra Anna, a sua volta inserita in un programma di recupero.
Mila è un buon film, inizia che sembra un racconto distopico, ma ben presto si passa a un approccio più umano e pertanto si differenzia dal cinema greco contemporaneo, soprattutto quello di Lanthimos, perché riesce a non eccedere in certe brutalità o sensazionalismi classici di questo tipo di cinema. La storia riesce a essere interessante perché racconta di memoria, di amnesia, di perdita senza calcare sulla sofferenza.
Quanto è selettiva la nostra memoria? Ci ricordiamo quello che abbiamo vissuto o quello che abbiamo scelto di ricordare? Possiamo dimenticare le cose che ci hanno ferito o le esperienze dolorose? Queste sono alcune delle domande fondamentali che pone Mila, un film che riesce a indagare il funzionamento della nostra memoria e come questo influisce su di noi. È interessante anche il modo di girare dell’esordiente Nickou, il film è girato in un 4:3 che rimanda alle foto polaroid, un elemento molto significativo della storia; è un formato che ci fa entrare immersivamente dentro ai pensieri del protagonista, che emerge così in tutta la sua figura di uomo pieno di tormenti, è il modo corretto anche per mostrare il suo isolamento attraverso un’inquadratura ristretta. Sicuramente un buon inizio per la sezione Orizzonti e probabilmente per la carriere del giovane regista greco.
Molecole di Andrea Segre è stato invece il film di preapertura della Mostra. Si tratta di un documentario girato a Venezia, inizialmente il progetto prevedeva un racconto sulle grandi ferite della città: l’acqua alta e il turismo di massa. Si trattava sostanzialmente di un progetto che mischiava teatro e cinema e metteva a confronto il pieno (dell’acqua e del turismo) in contrapposizione al vuoto della città che perde i suoi abitanti e si svende a un turismo che porta altrettanto vuoto. Poi, improvviso, è arrivato il lockdown e questo ha permesso a Segre di interrogarsi sulla città e sulla sua vita famigliare. Mentre girava, il virus ha congelato e svuotato letteralmente la città davanti ai suoi occhi, riconsegnandola alla sua natura e alla sua storia, e in qualche modo anche a lui. Il regista veneto ha perciò raccolto appunti visivi e ha trascorso quei giorni nella casa di famiglia, dove ha avuto modo di scavare nei ricordi. Il padre era veneziano ed era un fisico-chimico, studiava i movimenti delle molecole, i piccoli elementi della materia che non vediamo ma che determinano l’evoluzione delle nostre vite. Segre affonda perciò sul rapporto tormentato con il padre, anche questo intriso di vuoti e silenzi, come questa Venezia improvvisa nei giorni della pandemia. Il film si sviluppa attraverso archivi personali, Super8 del padre del regista che si alternano a incontri con cittadini veneziani. Il tutto è legato da una voce narrante dello stesso regista che racconta il processo evolutivo del film e che cerca allo stesso tempo di essere emotiva.
Molecole ha il pregio di quei film sgorgati all’improvviso, senza una vera programmazione, come l’acqua a Venezia, come le molecole, come il virus che ha bloccato il mondo, che però non riesce ad andare a fuoco in tutti i grandi argomenti che mette sul piatto, sembra che Segre voglia rimanere sulla superficie di Venezia senza la volontà di andare davvero a fondo.
da Venezia, Claudio Casazza