Il grande regista di film d’animazione nipponico e fumettista Hayao Miyazaki si presenta in concorso a Venezia con la sua opera testamentaria Kaze Tachinu (titolo internazionale: The Wind Rises). Il vento si leva ed è per l’ultima volta, soffio finale di una lunga carriera costellata da successi ed importanti premi internazionali, Oscar per il film La città incantata nel 2003 e Leone d’Oro alla carriera ottenuto nel 2005. Il decimo film del maestro si discosta dal genere fantastico, a cui siamo abituati, per portare sullo schermo una storia vera, il racconto biografico di Jiro Horikoshi, talentuoso progettista degli anni ’30 che ideò i rivoluzionari A6M Zero per la Mitsubishi, gli aerei utilizzati dai kamikaze. Un uomo di tecnica che è anche creativo, la figura dell’ingegnere che si sovrappone a quella dell’artista. Ed è proprio questo che ha convinto Miyazaki a realizzare questa pellicola, lo ha raccontato il presidente della Ghibli (studio di film d’animazione fondato dallo stesso Miyazaki nel 1985) durante la conferenza stampa a Venezia, il maestro si è deciso dopo aver letto una frase del progettista: “Tutto quello che volevo fare era qualcosa di bello” ed ecco che allora si può parlare anche di una vera e propria autobiografia. Quella per il volo e per le macchine volanti sono una autentica passione del regista, componenti spesso presenti nei suoi film che si riallacciano anche alla sua infanzia e al fatto che il padre possedesse una fabbrica di componenti aerei, tra cui i famosissimi caccia Zero. Un riferimento da annotare è che il protagonista, il giovane Jiro, sogna ad occhi aperti di diventare come il suo idolo, il conte Giovanni Battista Caproni, ideatore italiano di aerei, un richiamo presente anche in Porco Rosso, dove i personaggi usano velivoli molto simili ai suoi modelli.
Nel capitolo ultimo della sua mirabile carriera, Miyazaki si lascia alle spalle lo spirito infantile per il meraviglioso e affonda i piedi nella realtà e nell’età adulta confrontandosi con le drammatiche vicende del Giappone di quegli anni, colpito dalla guerra e dalla crisi. La poetica del maestro, incantata e pervasa dal meraviglioso, lascia il passo alla concretezza della vita, facendo irrompere anche l’elemento della morte, tematica quasi assente nei suoi lavori precedenti. Lasciati alle spalle ideali cari come il pacifismo e l’ambientalismo, assistiamo al conclusivo toccante racconto di un uomo che, giunto alla fine della sua parabola artistica, vuole fare i conti con la crudezza dell’esistenza mediata da una serena rassegnazione, non rinunciando comunque al suo tocco sognante.
da Venezia, Ernesto Brusati