Uno sguardo rubato al post-proletariato
L’ossessione di una vita, il tarlo nella testa che non se ne vuole mai andare, l’idea fissa che fatica a sbiadirsi… Partecipare alla Mostra del Cinema di Venezia e poter dire “io c’ero”, tutto questo non per aver raggiunto chissà quale status sociale o aver intrapreso una sfolgorante carriera nel mondo dell’alto giornalismo, ma per aver trovato un biglietto del treno a soli 9 euro.
L’ostacolo viaggio poteva dirsi risolto, restava solo da scegliere l’alloggio e si sa che a Venezia chi non può permettersi un giro in gondola non può nemmeno aspirare ad una comoda sistemazione nei paraggi e così la scelta ripiegò su Mestre. “Alloggi la Cuccagna”, dal nome pareva aver trovato l’isola felice, lenzuola di seta e cibo a volontà, in realtà si trattava di solo pernottamento con bagno in comune e materasso sfondato. La felicità low-cost è difficile da godere, ma può darti tante soddisfazioni. La prima è stata ritrovarsi in una città viva e accogliente, la seconda arrivare al lido senza ostacoli o spiacevoli imprevisti.
Ed ecco il famigerato red carpet, le macchine coi vetri oscurati, l’andirivieni di cameraman e troupe televisive, l’atmosfera surriscaldata dal caldo più che da star del cinema, del tutto assenti o rintanate nelle loro suite di lusso, il vociferare costante e il lungo mare affollatissimo.
La meta era raggiunta e non ci si poteva certo lamentare, ma mai dire mai…
Si dice spesso “il tempo è denaro” e mai come in questa occasione ne ho potuto verificare l’effettiva veridicità, infatti il mio errore è stato proprio quello di perdere tempo, gironzolando in lungo e in largo, senza accorgermi che sarei arrivata terribilmente in ritardo alla proiezione del film di cui avevo acquistato il biglietto con immensa gioia e trepidazione. Sentirsi dire: “Mi spiace, i posti sono esauriti” ha del tragicomico, non si sa se occorra esser tristi oppure ridere di se stessi e della propria sfortuna. Era la mia unica occasione, non avrei potuto acquistare un altro biglietto e neanche rivendicare quello perso, ai giovani proletari non si da nemmeno la possibilità di sognare e addirittura mangiare può risultare impresa epica. Nessun ristorante, trattoria o bar era così stracolmo e popolato come la salumeria di quartiere, a pochi passi dal centro nevralgico del Festival. Un fiume di ragazzi e ragazze attendevano impazienti di concedersi un panino preparato ad hoc, molto più economico di un fritto misto o un soutè di cozze in riva al mare. Vittime, loro malgrado, di quell’attesa interminabile, forse avranno rischiato di vivere la mia stessa disavventura e se il dolore condiviso è certo meglio di una sofferenza solitaria, non è confortante conoscerne le ragioni comuni.
E’ in questo clima del tutto “fantozziano” che il destino beffardo sembra aver mollato la presa. Ad un certo punto un’apparizione folgorante e quanto mai in tema. Milena Vukotic, la Pina del famoso ragionier in tutto il suo splendore, esile e sorridente, che con occhi pieni di meraviglia e stupore mi concede un autografo. La mia prima esperienza alla Mostra del Cinema di Venezia si poteva dire conclusa e il finale inaspettato mi ripagava di tutto, quell’incontro fortuito era simbolo dello spirito dissacrante con cui avevo deciso di vivere quella giornata ed emblema bizzarro del nostro presente.