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Venezia 81: L’Occhio della gallina di Antonietta De Lillo

In Notti Veneziane, sezione off delle Giornate degli Autori, appare un oggetto alieno al nostro cinema, un documentario che scoperchia molti dei problemi e dei limiti del fare cinema in Italia.
L’Occhio della gallina è l’autoritratto della regista Antonietta De Lillo che ripercorre la sua carriera come regista e produttrice iniziata trent’anni fa, caratterizzata dalla creazione di film liberi e indipendenti. Racconta, soprattutto in prima persona, come è stata relegata ai margini dell’industria cinematografica dopo un contenzioso giudiziario legato alla distribuzione del suo film di maggior successo, il bellissimo Il resto di niente, che avrebbe potuto consacrarla al grande pubblico. Nel film momenti della vita pubblica e privata della protagonista sono narrati attraverso interviste, ricostruzioni e archivi personali, cinematografici e televisivi. De Lillo ci mostra le difficoltà di chi va controcorrente, la creatività e la resistenza necessarie a reinventarsi con i mezzi a propria disposizione.

L’Occhio della Gallina vede la cineasta, per la prima volta nella carriera, dall’altra parte della macchina da presa: la narrazione è in bilico tra memoria e presente, realtà e immaginario, la forma dell’autoritratto le permette di porre l’emotività in primo piano e, senza cadere mai troppo nel vittimismo, racconta fatti violenti e unici nel panorama cinematografico del nostro paese. La particolarità del film è da una parte la ricostruzione di tutte le tappe più importanti di una lunga battaglia giudiziaria iniziata nel 2004, e dall’altra la forza di un racconto dal vero, che non è una storia chiusa ma ancora in divenire, dove tutto sta accadendo e può accadere, davanti allo sguardo dello spettatore.

Come dicevamo in apertura, è molto interessante che porti allo scoperto uno dei più grossi limiti del cinema italiano: la distribuzione nelle sale che in questo lavoro vediamo rappresentata da De Lillo che combatte contro l’Istituto Luce, ma si potrebbe cambiare nome del regista e nome del distributore e potrebbero venire a galla molte storie simili. De Lillo racconta di come il Luce abbia sostanzialmente nascosto Il resto di niente: nel 2004, epoca in cui si andava molto più di ora al cinema, il film fu distribuito in sole 20 copie e ne consacrò così l’invisibilità, nonostante i premi importanti ricevuti, gli articoli di giornale, gli inviti addirittura di Ciampi, allora presidente della Repubblica, a vederlo. De Lillo e si concentra sulla sua battaglia personale e non tocca altri problemi della distribuzione in generale, il finto mercato e il “cartello” che esiste in Italia, ma ha comunque il merito di far conoscere meccanismi contorti che non hanno nulla a che fare con il cinema ma solo con il potere, o presunto tale, di pochi Enti o persone.
L’altro grande merito del film è quello di portare finalmente davanti agli occhi degli spettatori il problema dei finanziamenti ministeriali al cinema, soprattutto quelli selettivi. Per “selettivi” si intende quei finanziamenti che vengono riconosciuti in base a una valutazione da parte di una Commissione: in Italia i finanziamenti cinematografici sono in parte “automatici” grazie ai film precedenti e allo storico delle produzioni che ne fanno richiesta, e invece sono “selettivi” per film minori o per le produzioni alle prime armi. De Lillo racconta del suo caso personale, un film bloccato dal 2009 (sic!), rimandato per mancanza di fondi e poi con un punteggio abbassato sufficiente per non darle un contributo economico. Quello dei finanziamenti è un sistema anche questo contorto, che premia sempre i più forti e potenti (ndr: e che sarà ancora peggio con le modifiche attuali che stanno per entrare in vigore) e che lascia poco spazio per i piccoli veramente indipendenti. Per molti addetti ai lavori sono sempre state un mistero queste valutazioni ministeriali, che valgono sia per le produzioni dei film che per le stesse distribuzioni, alle quali spesso non cambia niente se distribuire bene o male un film, ma anche per chi organizza festival o rassegne, settore nel quale i festival che fanno un lavoro eccezionale vengono spesso premiati con cifre misere, a fronte di finanziamenti altissimi verso festival spesso meno meritori.
Forse per certi aspetti è un film per iniziati, per chi conosce un po’ questi meccanismi astrusi, che forse potrebbero essere difficili da comprendere per un pubblico tradizionale, ma che ha sicuramente il merito di mostrare una battaglia sconosciuta a tanti, ma anche di riconoscerci con la reazione della regista davanti alle ingiustizie: De Lillo infatti non si è mai persa d’animo, non ha mai abbandonato la lotta e, nonostante non abbia più girato un film di finzione dal 2004, ha continuato a fare cinema in forme diverse. Perciò, forse, la qualità maggiore de L’Occhio della gallina è quella di suggerirci anche dei metodi per superare l’isolamento, e nonostante tutto celebrare il cinema nel suo ruolo comunitario, culturale e politico.
Per concludere ci auguriamo che un film di questo tipo venga distribuito per bene, di sicuro non dall’Istituto Luce, e che le sale abbiano il coraggio di proiettarlo per mostrare agli spettatori come funziona questo nostro piccolo mondo.

da Venezia, Claudio Casazza

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