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Venezia 81: il nuovo film di Nader Saeivar

Nella sezione Orizzonti Extra arriva il nuovo film di Nader Saeivar, regista iraniano per anni collaboratore di Jafar Panahi e già autore di un film molto bello: The Alien, miglior sceneggiatura in Cineasti del presente a Locarno 2020.

Shahed – The witness, scritto sempre insieme a Panahi che ha anche curato il montaggio, racconta di Tarlan, un’insegnante di danza vedova da tanti anni ma sempre combattiva. Quando la figlia adottiva viene assassinata, la donna si trova a combattere contro un muro di omertà eretto proprio da chi su quell’assassinio dovrebbe indagare. Tarlan dovrà decidere se cedere alle forti pressioni politiche o rischiare il tutto per tutto, rivelando tutto ciò di cui è a conoscenza.
Tarlan (interpretata da una straordinaria Maryam Bobani) arriva a denunciare l’omicidio della figlia adottiva da parte di un marito violento e potente. È una testimone diretta di questo delitto e vuole andare in fondo, nonostante tutti gli consiglino di fare il contrario. Raccontando questa storia Saeivar vuole evidentemente mostrare cosa sono costrette a fare le persone comuni in Iran che non svendono la propria dignità di fronte alla paura.
ShahedThe witness  riflette così le attuali condizioni della società iraniana e ci mostra il modo in cui agisce il Governo e come si debba sempre obbedire anche a rischio della propria dignità. Il regista ci mostra anche come il regime repressivo iraniano operi con un controllo a 360 gradi della società, il tema del controllo era già ben presente nel film precedente e viene ancora di più palesato in questo, così da farci capire come sia difficile per le persone mantenere umanità se vengono cancellati come esseri umani e la verità non si sa più cosa sia.
Il film inizia e finisce con un ballo che è un evidente simbolo di libertà, mentre le tende si chiudono e i social vengono silenziati. Una simbologia che Seivar decide di usare in apertura e chiusura quasi come un sipario al cui interno incastona un potente thriller che intreccia temi sociali e politici.
L’opera si inserisce così con autorevolezza nel cinema iraniano contemporaneo, non ha gli slanci di scrittura di Farahdi o la potenza dello stesso Panahi ma, nonostante qualche didascalismo di troppo, racconta bene i temi dell’oppressione, della dignità umana e della resistenza individuale.

da Venezia, Claudio Casazza

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