Il film di apertura delle Giornate degli autori, sezione autonoma della Mostra del Cinema di Venezia, è l’iraniano Aftab Mishavad, un film sicuramente interessante che merita un discorso approfondito.
Siamo a Teheran nell’ottobre 2022, un gruppo teatrale sta provando la commedia greca Lisistrata di Aristofane. Durante una scena nella quale i vecchi stanno assaltando l’Acropoli conquistata dalle donne di Atene, il gruppo di teatranti apprende di essere circondato dalle forze anti-sommossa che stanno marciando intorno all’edificio per sedare una grande manifestazione. Sono le proteste, quasi una rivolta, iniziate dopo la tragica morte di Mahsa Jina Amini, avvenuta sotto la custodia della cosiddetta polizia morale.
È bene ricordare che Lisistrata è il primo testo oggi noto che tratti il tema dell’emancipazione femminile, non solo tramite il lamento patetico – a questo avevano già pensato le tragedie, una per tutte la Medea di Euripide – ma attraverso una collaborazione tra donne che appaiono consapevoli delle loro possibilità nell’imporre la propria volontà agli uomini. L’intento di Aristofane era rappresentare un mondo alla rovescia, dove il comando viene preso da chi di solito è sottomesso, con lo scopo di ottenere non la parità dei sessi (argomento ancora impensabile a quei tempi e in effetti non trattato nell’opera) ma la pace.
La scelta di questa commedia si lega al discorso che il regista iraniano vuole fare per tratteggiare l’Iran attuale. Infatti vediamo che nel film, mentre il gruppo teatrale prova lo spettacolo, la realtà irrompe prepotente. Il rumore della strada diventa quasi subito assordante e entra nelle prove dello spettacolo. Nella sala prove crescono paura e rabbia, e i giovani iniziano a interrogarsi. Alcuni preferiscono nascondersi, altri, guidati dall’attrice protagonista, vogliono scendere in strada e combattere a fianco delle persone che protestano. Nonostante i disaccordi, una cosa è chiara per tutti: il gruppo non vuole continuare a mettere in scena lo spettacolo durante questo tentativo di rivoluzione. Sono le attrici a prendere le decisioni, si ribaltano i ruoli e il regista viene messo in
minoranza. Iniziano tutti a porsi interrogativi importanti: che senso ha fare teatro quando succede tutto ciò in strada? Protestare è più importante di un stupido spettacolo? Perché fare arte quando fuori tutto brucia?
L’ingresso improvviso di quattro sconosciuti dalla strada cambia ancora di più il discorso, trasporta la spaventosa realtà dell’esterno in questo ambiente chiuso e isolato. Il gruppo rimane nella sala prove per tutta la notte, tentando delle improvvisazioni sulla base delle sulla base delle storie che accadono fuori, usando i corpi e le abilità recitative come forme di disobbedienza civile.
Come dicevamo inizialmente, il film è molto interessante per questo dialogo che viene rappresentato e costruito. Aftab Mishavad è strutturato su quattro linee narrative: la commedia Lisistrata, il documentario sulla creazione dello spettacolo, il dialogo tra attori e il regista, e la strada che prende il sopravvento su tutto il resto.
È bene ricordare che il film è stato girato in totale segretezza, per questa ragione i volti dei protagonisti non ci sono, ovviamente per tutelare l’identità delle persone, ma anche per simboleggiare la censura sempre presente nel cinema iraniano. Il film è perciò un susseguirsi di piedi, corpi, nuche, ombre, quasi dei fantasmi che recitano e ragionano dentro questo momento storico così importante nella storia dell’Iran. Non tutto funziona perfettamente, a tratti si percepisce una costruzione eccessiva, ma Aftab Mishavad è film che fa pensare moltissimo e ha il merito di raccontare come l’Iran odierna e la sua giovane generazione sono davvero a un punto di non ritorno.
da Venezia, Claudio Casazza