Cinque anni dopo La favorita il regista greco Yorgos Lanthimos torna a dirigere un lungometraggio e rientra nuovamente in concorso alla Mostra di Venezia. Diciamo subito che si tratta di un film che sorprende tutti, sia gli amanti del regista greco che i suoi detrattori.
Poor Things è tratto dall’omonimo romanzo pubblicato nel 1992 da Alasdair Gray (in italiano La ballata del guerriero) e mostra finalmente il lato più ironico del regista. È quasi un Barbie gotico e grottesco, tra Frankenstein e Max Ernst, dentro c’è molto Lewis Carrol con pezzi di Kubrick, ma è da sottolineare anche il discorso sessuale di Fassbinder. Troppe cose? Non in questo caso.
Il film racconta l’incredibile storia della fantastica trasformazione di Bella Baxter (Emma Stone), una giovane donna riportata in vita dal dottor Godwin Baxter (Willem Dafoe), scienziato brillante e poco ortodosso. Bella vive sotto la protezione di Baxter ma è desiderosa di imparare cose della vita. Attratta dalla mondanità che le manca, fugge con Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo), un avvocato scaltro e dissoluto, in una travolgente avventura che si svolge su più continenti. Libera dai pregiudizi del suo tempo, Bella cresce salda nel suo proposito di battersi per l’uguaglianza e l’emancipazione.
Poor Things è un film di profonda originalità e grande potenza: il viaggio verso la presa di coscienza della magnifica protagonista (una Emma Stone strepitosa) da neonata mentale a donna davvero matura. Il film è diviso in capitoli con il prologo e finale nella Londra vittoriana, poi le varie tappe del viaggio di Bella, Lisbona, Alessandria d’Egitto, Parigi. Nel racconto seguiamo la crescita personale, sessuale, psicologica, libertaria, filosofica e morale di una donna per la quale le convenzioni sociali non hanno valore e che si autodetermina per natura, essendo “nata” adulta e priva di pregiudizi.
Dal punto di vista della messa in scena il regista greco conferma in pieno il proprio stile degli ultimi film, con i fish-eye che abbondano spesso senza molta coerenza e le steady seguono i personaggi, maree di zoom un po’ a casaccio. Ma il tutto è compensato da trovate geniali (una per tutte le bolle gastriche) che fanno diventare il film grottesco, libero e divertente. Lanthimos spazia dal bianco/nero al colore più saturo possibile, da una casa degli orrori degna dei racconti di Poe a scenografie pazzesche in giro per il mondo.
Emma Stone conduce così lo spettatore sul terreno della commedia e dell’utopia positivista: la società può migliorare, pare dirci Lanthimos, finalmente uscito dalle cupe visioni dei film precedenti. Speriamo che anche il regista greco si sia liberato da quel cinema soffocante che aveva fatto negli ultimi anni; senza tesi precostituite è riuscito a regalarci due ore memorabili, dense di una leggerezza insospettata.
da Venezia, Claudio Casazza