Il nuovo film di Teona Mitevska, in concorso in Orizzonti, è davvero il film migliore visto fin qui, notevolmente meglio di un concorso fino ad ora deludente.
Mitevska è la regista del bel Dio è donna e si chiama Petrunya, film passato a Cannes e vincitore del Lux Prize 2019. In questo nuovo lavoro lascia il registro grottesco che aveva scelto per il film precedente e affronta il tema più doloroso per la sua generazione: la guerra nella ex Jugoslavia. La trama è semplice ma allo stesso tempo molto complessa: tutta la storia si svolge in un hotel anni Ottanta, costruito in stile brutalista, tipica eredità jugoslava. La protagonista Asja, una donna single di 45 anni che vive a Sarajevo, per fare nuove conoscenze finisce per trascorrere il sabato partecipando a un evento di speed dating con una trentina di altre persone. L’agenzia d’incontri organizza giochi e attività per chi vuole trovare l’amore, Asja viene così abbinata a Zoran, un bancario che ha più o meno la sua stessa età. Tuttavia, Zoran non cerca l’amore, ma il perdono. Nel film emergerà che durante la guerra era dall’altra parte della barricata, con i serbi. Ora, entrambi devono rivivere il dolore nella loro ricerca del perdono.
Mitevska realizza un film potentissimo, con una mano fermissima e una capacità di scrittura notevole. Inizialmente non capiamo dove porteranno questi incontri apparentemente casuali, il registro è quasi divertente ma il dramma arriva improvviso a turbare prima Asja, poi tutti gli altri partecipanti. È un film in cui la tensione sale costantemente, anche un piatto rotto da un cameriere fa affiorare i ricordi e l’orrore della guerra. La regista macedone è brava a mostrare questa tensione che cresce in tutti, in questa Sarajevo ci si sono ancora oggi origini diverse, chi è croato, chi serbo, chi bosniaco musulmano, chi ortodosso, chi non sa chi è.
Najsreḱjniot Chovek Na Svetot (in inglese The Happiest Man in the World) affronta temi fondamentali per l’oggi: cosa ci divide o cosa ci unisce? La religione che ci ha fatto ammazzare trent’anni fa è ancora così importante? È un film che racconta Sarajevo, la città che più di altre testimonia le ferite aperte e i dolori del passato. Con la città Mitevska racconta splendidamente i suoi abitanti e quali sono le conseguenze della guerra sia tra le vittime che tra i carnefici. Come hanno già raccontato molti altri film sulla guerra jugoslava, c’è chi vive con le ferite ancora addosso e chi non vuole più pensare a un passato con tanto dolore e preferiscono dimenticare.
Poi ci sono i giovani che non l’hanno vissuta la guerra, in una sequenza davvero indimenticabile Asja si trova proprio in mezzo a un gruppo di ragazzi di neanche diciotto anni. Stanno ballando e Asja si unisce a loro, circondata da questi giovani che hanno solo ereditato gli orrori, si mette a ballare pure lei sfrenatamente e in qualche modo prova a liberarsi di quello che ha dentro e si avvia, forse, verso la possibilità del perdono.
La Mitevska realizza così una storia sulla precarietà della vita, sugli incontri casuali che riportano in superficie il passato doloroso, sulla memoria che è sempre provvisoria e sulla voglia di liberarsi da un fardello di una pesantezza inaudita. Ne esce un film di connessioni impossibili, di amore immaginato e di assurdità. È la storia di un paese, la ex Jugoslavia, che non c’è più.
da Venezia, Claudio Casazza