Era molto atteso il nuovo film di Abel Ferrara, già da quando era stato reso pubblico il soggetto del film molti avevano storto il naso cercando di capire come fosse possibile per il regista italo-americano, newyorchese trapiantato di recente a Roma, raccontare un personaggio come Padre Pio, tra l’altro interpretato da una star maledetta come Shia Labeouf.
Diciamo subito che Padre Pio, qui a Venezia in concorso alle Giornate degli autori, è sorprendente, audace e molto interessante. Ferrara ha scritto il film con Maurizio Braucci avvalendosi di un’importante produzione italo-tedesca-inglese (il film è infatti girato in un inglese che spiazza un po’), con un grande contributo della Apulia Film Commission, ed è stato girato tra il monastero di San Marco La Catola e l’Abbazia di Pulsano, dove gli stessi frati cappuccini hanno partecipato alla realizzazione delle riprese.
Padre Pio è ambientato alla fine della Prima Guerra Mondiale quando i giovani soldati italiani tornano a San Giovanni Rotondo, terra di povertà, storicamente violenta, sulla quale la Chiesa e i ricchi proprietari terrieri esercitano un dominio ferreo. Le famiglie sono disperate, gli uomini sono reduci dalla prima guerra mondiale che li ha visti sì vincitori ma che li ha distrutti sia fisicamente che moralmente. In quegli anni, in uno sperduto convento di cappuccini, arriva anche Padre Pio per iniziare il suo ministero.
Il film si dipana su questi due binari che Ferrara alterna senza dei veri e propri collegamenti: la parte storica del paese alla vigilia delle prime elezioni libere del 1920 e le visioni mistiche del frate che ricordano per certi versi dei momenti del suo primo cinema, quello della Trilogia del Peccato (Il cattivo tenente, Addiction, Occhi di serpente) che lo ha visto salire alla ribalta del cinema indipendente.
Ferrara ha utilizzato le lettere autografe di Padre Pio per cercare di capire lo spirito del monaco e per provare a capire chi era realmente, ce lo mostra nel delirio e nella sofferenza mentre ha le visioni epiche di Gesù, Maria e del Diavolo. Shia Labeouf, dice Ferrara, si è molto immedesimato nei panni del Santo, ha passato quattro mesi in un convento tra le montagne della California e tuttora sta compiendo un viaggio spirituale importante, era ebreo e si sta convertendo al cristianesimo.
Il film accenna solamente alla polemica sulle visioni e sulle stimmate che avrebbe avuto Padre Pio, ci sono solamente accenni al fatto che inizialmente la Chiesa non credette per nulla all’origine delle stimmate. Ferrara non entra mai davvero nel dibattito, non gli interessa. Per onor di storia sottolineiamo che un gran numero di medici visitò Padre Pio per verificare che non si trattasse di un millantatore e la Santa Sede non prese posizione per decenni. Nel film siamo però nel periodo in cui il culto nasce spontaneo da parte degli abitanti del luogo, e c’è da ricordare che tra i devoti del frate vi erano molti reduci di guerra che erano stati in prima linea quando si è trattato di sventare un primo tentativo di allontanare il frate da San Giovanni Rotondo.
Ma stiamo andando fuori strada, più che le vicende di Padre Pio la parte di maggior interesse del film sono gli avvenimenti storici che fanno da sfondo al suo arrivo a San Giovanni Rotondo. Il film scorre tra il 1918 e il 1920, periodo in cui gli abitanti vengono duramente sfruttati dai proprietari delle terre; i Socialisti iniziavano in quegli anni a organizzarsi senza avere inizialmente un grande seguito perché era difficile trasmettere molte idee a un popolo di analfabeti quale era quello del paese in quegli anni. Ferrara ci mostra questa presa di coscienza guidata da pochi coraggiosi mentre i potenti del paese si organizzano in una coalizione popolare clerico-fascista, diciamo pre-fascista, poiché sono quelle organizzazioni che da lì a poco porteranno ai Fasci di combattimento. Per alcuni storici stiamo parlando degli “Arditi di Cristo” che poi saranno responsabili di un episodio di sangue che nel film di Ferrara, come spesso gli capita, è metaforico. Una vera e propria strage che avvenne proprio a San Giovanni Rotondo nel 1920 e che, come molti altri avvenimenti del cosiddetto Biennio Rosso, sono pressoché sconosciuti a tutti noi. Ferrara ne fa una metafora altrettanto ardita, lo considera l’evento apocalittico che porterà l’Italia nel Fascismo, l’inizio di tutto l’orrore che poi seguirà. Ce lo mostra proprio mentre Padre Pio lotta contro il Diavolo.
È interessante notare che Ferrara non entra in un altro dibattito che giornalismo e storiografia hanno analizzato: Padre Pio da che parte stava? È evidente che la Chiesa stava coi protofascisti, alcuni storici ipotizzano addirittura che il frate fosse in piazza quel giorno accanto agli assassini, la maggior parte invece smentiscono e il regista fa altrettanto: ce lo mostra in una delle sue mistiche visioni mentre avviene il massacro. Probabilmente è vero che non ha partecipato ma il suo culto, che già era in fieri, poi sarà sempre più importante e raggiungerà vette inaspettate durante il regime. Ferrara ci vuole semplicemente dire che Padre Pio aveva già visto l’apocalisse con le sue visioni, oppure ci porta a pensare che queste visioni verso l’imponderabile e l’assoluto hanno invece sostituito quella voglia di comprensione e di ribellione all’orrore che stava arrivando?
da Venezia, Claudio Casazza