Che cos’è l’umanità? Cos’è il vivere insieme? Cosa può fare un governo per migliorare la vita delle persone? Si possono riabilitare i malati? Cosa è il sociale? Due grandi documentaristi americani, con due film diversissimi fuori concorso, cercano di capirci qualcosa con i loro collaudati modello di film: Frederick Wiseman osservando come al solito, Alex Gibney con la sua classica inchiesta.
City Hall di Wiseman racconta di Boston e di come il governo di una città riguarda quasi ogni aspetto della vita. Il grande regista americano in un film-fiume di 4 ore e mezzo segue il sindaco di Boston e tutti i suoi collaboratori nella vita quotidiana dell’amministrazione. Vediamo così il lavoro di servizi fondamentali come la polizia, i vigili del fuoco, la sanità, il dipartimento degli affari dei veterani, l’aiuto agli anziani, la manutenzione dei parchi, le autorizzazioni per varie attività professionali, la registrazione di nascite, matrimoni e morti insieme a centinaia di altre attività che tutelano i residenti e i visitatori di Boston.
City Hall dimostra che è necessario avere un governo che si occupa del sociale se si vuole vivere bene insieme. Il sindaco Walsh e i consiglieri vengono ritratti mentre discutono tra loro delle priorità politiche, del budget, di giustizia razziale, di edilizia accessibile, di azioni sul clima, e di tutti i problemi collegati a chi non ha una casa. City Hall è un clamoroso film politico, sociale, un entrata in punta di fioretto che evidentemente va contro Trump e la sua idea di società individualista, contraria alla storia della diversità degli Stati Uniti. Filmare il governo della città di Boston ha lo scopo di offrire una visione politica, impegnata e sinceramente democratica.
Crazy, Not Insane di Alex Gibney invece è il contraltare del film di Wiseman, ci parla del male, delle sue ragioni e del perché soprattutto in America si uccide così facilmente. Il film segue il lavoro di Dorothy Lewis, famosa psichiatra che ha esaminato numerosi serial killer cercando di rispondere a alla domanda più agghiacciante: perché si uccide? Dopo aver trascorso diverso tempo con la Lewis, Gibney intervista la psichiatra e aggiunge al film una mescolanza di stili diversi dal solito, utilizza cinema verità, pezzi d’archivio clamorosi, animazioni. Uno stile che riesce anche a rispecchiare la complessità della mente umana. Il titolo Crazy, Not Insane si riferisce a come il sistema giudiziario – troppo spesso caratterizzato da un senso di giustizia che sconfina nella sete di vendetta – sia in contrasto con il mondo della scienza medica nel definire cosa sia una grave malattia mentale.
Con l’aiuto di straordinarie interviste della Lewis ad alcuni famosi assassini seriali, Gibney va nel profondo della malattia mentale, delle disfunzioni spesso dovuti ad abusi subiti da piccoli, alle personalità multiple dei condannati a morte. I casi letali fanno anche analizzare l’insensatezza della pena di morte in sé, una volta che pericolosi assassini sono stati incarcerati e i cittadini sono al sicuro da essi, perché siamo così determinati a giustiziare questi esseri umani? Gli americani sono dei serial killer? E se così fosse, siamo pazzi, o addirittura malati di mente? Un film che come spesso fa Gibney parte da una domanda ma ne propone altre mille, la bellezza del documentario è tutta qui.
da Venezia, Claudio Casazza