Possono due film le cui storie distano 200 anni parlare della stessa storia? Può un film di finzione sui primi anni del 1800 essere più documentario di un documentario contemporaneo? Con queste poche righe proverò a rispondere parlando di Peterloo di Mike Leigh e di What you gonna do when the world’s on fire? di Roberto Minervini.
Peterloo di Leigh (già Leone d’oro nel 2004 per Il segreto di Vera Drake), racconta le istanze dei contadini Manchester impoveriti dalla guerra e senza diritto di voto, visto che al tempo non esisteva il suffragio universale. Lontani da Londra e considerati al pari delle bestie, Leigh racconta la loro formazione e l’inizio della loro lotta per i diritti. Il tutto sfocerà in uno degli episodi più violenti della storia dell’Ottocento: siamo al 16 agosto del 1819 a Manchester, in Saint Peter’s Field; la cavalleria della Gran Bretagna spara contro una folla di manifestanti, circa ottanta mila, nel corso di un comizio che chiedeva la riforma elettorale al parlamento britannico. Undici uomini persero la vita, con centinaia di feriti: un massacro sanguinoso.
What you gonna do when the world’s on fire? invece racconta di una comunità di neri che vive la quotidianità tra mille difficoltà mentre le violenze scorrono davanti ai loro occhi: Judy cerca di mantenere a galla la propria famiglia allargata, mentre gestisce un bar minacciato dalla gentrificazione. Ronaldo e Titus, due giovanissimi fratelli, crescono in un quartiere afflitto dalla violenza, mentre il padre è in prigione. Kevin, Big Chief della tradizione indiana del Mardi Gras, lotta per mantenere vivo il patrimonio culturale della sua gente attraverso i rituali del canto e del cucito. Infine, il gruppo rivoluzionario delle Black Panthers indaga sul linciaggio di due ragazzi nel Mississippi, mentre organizza una protesta contro la brutalità della polizia.
Duecento anni di distanza ma parliamo di classi sociali che subiscono e che cercano di organizzarsi politicamente, provano con difficoltà a convincere i propri pari e cercano una voce unica per difendersi e rivendicare diritti. La capacità di riconoscere le disuguaglianze, la forza di prendere posizione e di richiedere giustizia, sono temi fortissimi che in maniera folle uniscono due film diversissimi. Peterloo rappresentò un momento essenziale nella definizione della democrazia britannica e giocò un ruolo importante anche nella fondazione dei quotidiani, The Guardian ad esempio. Il film con la mano sicura di Leigh, riesce a restituirci le forze e le debolezze dell’umanità. Narra in maniera splendida l’eterna battaglia di amore, devozione, integrità e dovere dei contadini contro il potere e la corruzione dei giudici, dei parlamentari e del Re tutto preso a mangiare e amoreggiare. Leigh ci dice che è giusto ricordare le lotte di due secoli fa in favore della democrazia, ci fa dire e ridire che non sono un lontano passato, e il massacro di Manchester è ancora più simbolico da ricordare come evento fondamentale nella storia della libertà universale. Lo fa ricercando le fonti storiche e ce lo restituisce con un’umanità senza eguali.
Minervini è invece un documentarista particolare, reduce dal problematico Louisiana (The Other Side) e il precedente Stop the Pounding Heart che aveva invece sorpreso. Ha sempre raccontato storie di margini e di sofferenze e anche in questo ultimo lavoro ci narra storie del Sud americano cercando di scavare ancora più a fondo nelle radici della disuguaglianza sociale nell’America odierna. Esattamente come in Peterloo la maggior parte delle persone prova a organizzarsi dopo eventi drammatici della recente storia locale: l’uragano Katrina del 2005 (là era la guerra che li ha ridotti alla fame e ha ucciso o menomato i loro figli) e le recenti violenze della polizia, con l’uccisione ad esempio di Alton Sterling per mano di due agenti. Come ricorda lo stesso Minervini, entrambi gli eventi erano stati una conseguenza diretta della negligenza istituzionale, del divario socioeconomico tra poveri e ricchi e del forte razzismo endemico. E perciò la gente ha iniziato a mobilitarsi mossa dalla collera e dalla paura, e ha avuto voglia di raccontare a voce alta le proprie storie. Il regista italiano ha provato a restituircele con un bianco e nero che cerca però più l’estetica che l’etica e con una vicinanza fin troppo eccessiva che forse ci fa allontanare un po’ da queste storie di sofferenza e di ricerca di giustizia. Leigh nel suo racconto cerca di farci capire l’importanza di una presa di coscienza collettiva, ha avuto duecento di Storia per capire che in quegli eventi c’erano i prodromi di un movimento, invece il film di Minervini ci racconta probabilmente solo la rabbia e l’incapacità di organizzarsi. Perciò le le masse dell’ottocento qua diventano poche decine di neri arrabbiati. E forse, poiché sono entrambi film, uno si compie proprio con il tempo che è passato e l’altro invece è ancora là che sta germogliando.
da Venezia, Claudio Casazza