Partiamo da Monrovia, Indiana di Frederick Wiseman. Il grande documentarista americano esplora una cittadina del Midwest rurale mostrando come valori quali servizi sociali, doveri, vita spirituale, generosità e autenticità siano plasmati, percepiti e vissuti parallelamente a una serie di stereotipi contrastanti. Diciamolo chiaramente, Wiseman è il Cinema e riesce con questo film a raccontare l’America profonda senza bisogno di urli contro Trump o contro il razzismo. Il film mostra la città di Monrovia insieme al suo stile di vita consumistico. La camera viaggia tra chiesa, scuola, bar, supermercati di armi e di cibo, riunioni urbanistiche. Ci mostra una comunità di piccole dimensioni (1400 abitanti) nelle sue azioni quotidiane e da lì capiamo perché la politica americana sta cambiando. Non si parla mai di politica nel film ma è tutta politica, infatti il film è interamente girato in situazioni e luoghi pubblici. E nonostante Wiseman sia spietato, se lo si analizza nel profondo, ci mostra degli esseri umani. È il suo sguardo umano, mai giudicante che lo fa uno dei più grandi registi viventi.
Se Wiseman pone domande Errol Morris cerca di dare risposte, il suo American Dharma è un film indispensabile. Morris torna a intervistare uno stratega della politica americana: Steve Bannon, l’uomo che ha guidato la campagna elettorale di Trump, chiedendogli di parlare delle sue opinioni, della sua idea di America, dei sentimenti verso il neo presidente ma anche dei film che hanno plasmato la sua conoscenza del mondo. In passato i film di Morris hanno visto come protagonisti alcune delle figure controverse della nostra epoca come gli ex segretari di stato McNamara e Rumsfeld (Fog of the war e Unknow know), e il grande regista americano era stato capace di scalfire la durezza dei due politici tutto d’un pezzo. Con Bannon il gioco inizialmente pare più duro, inizialmente c’è quasi da prendere la sua posizione, è meraviglioso quando Morris confessa di aver votato la Clinton alle primarie e Bannon gli ride in faccia dicendo che non se lo sarebbe mai aspettato da uno che aveva fatto film come Fog of the war, film in cui si mette in discussione molto di Kennedy e del partito democratico. A poco a poco però la forza si ribalta e Bannon è molto evasivo in molte risposte, soprattutto su Trump, le notizie false e tutto quel che successe dopo la stupefacente vittoria elettorale. Un film importantissimo per capire l’America di ieri e di oggi.
Dal concorso arriva un altro film notevole che fa un discorso molto interessante sugli Stati Uniti contemporanei. È Vox Lux di Brady Corbet, l’opera seconda, dopo l’esordio del 2015 con The Childhood of a Leader, del giovane attore e regista americano. Ambientato tra il 1999 e il 2017, è la storia di una popstar (Celeste, interpretata da Natalie Portman) nata dopo aver subito uno dei tanti attentati che avvengono nelle scuole americane. La prima parte del film è folgorante e ricorda film di finzione come Elephant ma anche documentari come Bowling for Columbine. Celeste però si salva e una canzone da sopravvissuta la fa diventare, a 14 anni, una piccola celebrità. Dopo questa prima parte un’ellisse di 17 anni ci porta ad oggi quando è diventata una popstar di successo e deve affrontare i demoni classici dovuti a dipendenze, e anche il rapporto con una figlia già adolescente, avuta quando lei era altrettanto adolescente. Un nuovo terrorismo arriva e porta altri problemi. Ne esce un melodramma storico americano, un tentativo di fare un Nashville degli anni 2000, ambiziosissimo e in parte molto riuscito. Corbet gira in 35 mm con uno stile che ci porta agli anni ’70, però ci parla del contemporaneo con eventi cruciali e modelli culturali che ad oggi hanno plasmato la prima parte del nostro secolo.
da Venezia, Claudio Casazza