“Voglio dare una visione del mondo che possa emergere solo non prefissandosi un tema particolare, astenendosi dal giudicare, procedendo senza scopo, andando alla deriva senza una direzione, seguendo solo la propria curiosità e intuizione” (Michael Glawogger).
Arriva in sala, distribuito da ZaLab, un film che già dal titolo capiamo essere un oggetto non identificato: senza titolo e senza trama e senza scopo. Michael Glawogger – come dice lui stesso a inizio film – decide di fare un viaggio senza una precisa meta, un anno in giro per il mondo attraversando tutti i continenti senza fermarsi.
Dicembre 2013, Glawogger parte con il cameraman Attila Boa e il fonico Manuel Siebert per girare un film che segue il più radicale concetto di documentario portato avanti dal regista. Il progetto non prevedeva interruzioni e il film che ne sarebbe risultato avrebbe mostrato il mondo così come si presentava alla troupe in questa situazione sperimentale, infinitamente aperta. A parte un itinerario di massima preparato con alcuni luoghi decisi in anticipo – molta Africa, Balcani e anche Italia – non c’era nessun tema, nessuna trama, nessun filo conduttore. Glawogger voleva catturare il mondo com’era, senza aspettative o filtri, voleva filmare andando semplicemente incontro a ciò che accadeva e lasciandosi stupire dall’inatteso. Dopo 4 mesi e 19 giorni, durante le riprese in Liberia, Glawogger muore improvvisamente di malaria (non è spoiler perché lo capiamo subito vedendo il film), ovviamente il progetto si ferma. Monika Willi, famosa per essere la montatrice di Haneke, storica collaboratrice di Glawogger, decide di raccogliere la sfida, ovviamente dopo lo shock, il lutto improvviso e la ovvia attesa dovuta a un fatto così sconvolgente. La Willi completa perciò il film con il materiale girato fino a quel punto, a distanza dai luoghi, e scrive una voce off (in originale dell’attrice irlandese Fiona Shaw, in italiano sostituita chissà perché da Nada) che prende però spunto dai testi che Glawogger ha registrato e scritto durante il viaggio. Il racconto è la storia immaginaria di un uomo in fuga, alla ricerca di un luogo in cui sparire.
Ne esce un omaggio alla bellezza travagliata del mondo e un inno alla potenza visiva e poetica di questo regista, non conosciutissimo da noi ma acclamato in tutto il mondo per i suoi film, da Megacities a Workingman’s Death, visto al Festival di Venezia nel 2005.
Visivamente spettacolare, Untitled è una meditazione sul mondo che segue un concetto semplice e meravigliosamente libero. Il film ci porta oltre il concetto stesso di racconto e come spettatori ci dà la sensazione di essere su un treno lanciato verso chissà dove, e con vagone aperto osserviamo davanti ai nostri occhi il mondo di Glawogger, ci immergiamo nella sua indagine e vaghiamo con lui alla ricerca dell’inaspettato: la varietà di luoghi, impressioni e storie ci attirano senza tema e senza il paraocchi che spesso accompagna queste visioni.
Untitled è un film inquieto sul movimento, sull’ignoto e soprattutto sull’altro: osservato, ascoltato, sperimentato. Un film crudo, coraggioso e onesto; si comprende chiaramente che Glawogger non giudica mai col suo sguardo: si può soffermare su un cane moribondo o su degli amputati nigeriani che riescono a giocare sorprendentemente a calcio, ma sempre senza retorica, e ci fa anche divertire con uno occhio sull’assurdo, lontanissimo da certo “documentario sociale” che in Italia sembra l’unico esistente. Il regista austriaco chiede allo spettatore di viaggiare con lui, di osservare con occhi diversi ma senza il compitino già scritto, chiede di seguire la magia delle immagini e di vivere un’esperienza.
È interessante il lavoro della Willi al montaggio, consapevole che se le circostanze del destino fossero state diverse, anche il film sarebbe stato un’altra cosa. Un viaggio anche il suo, attraverso il girato e le immagini di Glawogger. I mesi di riprese della troupe sono stati per lei i mesi in cui ha riguardato più e più volte le stesse immagini alla ricerca di una narrazione che potesse restituirla nella sua essenza. Ha dato sicuramente la sua impronta e credo sia giusto che abbia firmato insieme al defunto regista. Untitled alterna persone, animali, paesaggi e edifici, tenebre e paradisi remoti, orrori ma anche la vita piena di colori, ci riempie di immagini contemporaneamente suggestive e inquietanti. La Willi ha costruito quasi un codice poetico che mostra la trasformazione del mondo di Glawogger, il film è denso del concetto a volte abusato di “Serendipity”, la scoperta attraverso il caso fortuito di risultati di valore che non erano stati cercati o voluti. È forse quel che dovrebbe fare sempre il documentario, inventare e creare con onestà, un misto tra l’aspettativa che qualcosa accadrà e l’abbracciare completamente il fato.
Il film ha la capacità di non distorcere il mondo, di non subordinarlo al pensiero occidentale, per trovare proprio il mondo così com’è, nella sua bellezza e nel suo orrore, lasciando liberi di avere il nostro pensiero. È perciò giusto chiudere sempre con le parole del regista austriaco e il suo invito al viaggio: “non aspettare, ma continuare sempre a guidare, perché è solo attraverso il maggior movimento possibile che le storie arrivano da te. Solo quando la vita da sé arriva a un punto morto, dobbiamo arrestarci anche noi e stare fermi finché non abbiamo sperimentato cosa c’è da provare e filmato ciò che deve essere filmato”.
Claudio Casazza
Untitled
Regia: Michael Glawogger, Monika Willi. Origine: Austria/Germania, 2017. Durata: 103′.