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Una panoramica sul Torino FF a posteriori

Un paese della Bretagna che diventa microcosmo dell’Europa. È Paimpont dove è ambientato Les barbares di Julie Delpy, presentato Fuori concorso al 42° Torino Film Festival. Un piccolo centro tranquillo che si prepara, nelle settimane successive all’invasione russa, ad accogliere una famiglia di profughi ucraini, con l’approvazione dell’intero consiglio comunale, compreso il poco convinto idraulico Hervé. Sulla spinta emotiva della guerra sembra esserci una corsa a ospitare gli espatriati di Kiev, tanto che non ne restano per la località bretone, che all’ultimo riceverà una famiglia siriana. Questi sono accolti con la scritta sul muro “Dehors les barbares” (da cui il titolo del film), sebbene non manchi chi li sostiene, a cominciare dall’insegnante Joelle e dalla sua amica commerciante Anne. I nuovi arrivati hanno voglia di darsi da fare, i due ragazzi di andare a scuola e gli adulti di lavorare, ma, a dispetto delle intenzioni e dell’impegno, la loro presenza e il loro comportamento sono fraintesi e si crea un crescendo di situazioni che esasperano la tensione. È un intreccio che fa pensare molto a The Old Oak: Delpy non è Loach ma è brava e intelligente, racconta in maniera diversa e forse più corale, alternando sempre toni da commedia e da dramma sociale. L’attrice di Film bianco e Prima dell’alba, già regista di 2 giorni a Parigi, La contessa, Lolo – Giù le mani da mia madre, si prende il ruolo centrale di Joelle, dandole varie sfumature, e coinvolge un bel gruppo di attori, cominciando da Sandrine Kiberlain, Laurent Lafitte e India Hair,.

Meno convincente e omogeneo è Paradis Paris (Dear Paris) di Marjane Satrapi, fumettista d’origine iraniana celebre per Persepolis che si cimenta di nuovo con un film dal vero. Diverse storie si incrociano nella capitale francese, dentro la cornice delle vicende di un ormai anziano presentatore tv che conduce il programma “Orrore nell’Ile de France”. Un’adolescente tenta il suicidio dopo la diffusione di sue immagini intime e successivamente viene rapita da un delinquente ossessivo. Uno stuntman inglese arriva in città con il figlio per girare alcune riprese di cadute spettacolari, ma nel frattempo il bambino ha un incidente che lo costringe a rivedere le sue priorità. Un giovane truccatore gay inizia imbellettando cadaveri per poi passare a lavorare su un set. La cantante lirica Giovanna (Monica Bellucci) è data per morta, ma si risveglia improvvisamente e torna a casa con il marito. L’indomani scopre con delusione che i giornali avevano dato pochissimo spazio alla sua scomparsa. Questa sarebbe la vicenda più interessante, che si interroga sul destino degli artisti un tempo famosi e poi dimenticati. Satrapi cerca vie d’uscita un po’ semplici, anche con qualche superficialità (Giovanna non guarda la televisione o in internet, si affida solo ai quotidiani), affidandosi alle scene conclusive per provare a dare un senso all’insieme. Ne risulta un film diseguale, che accumula situazioni e vorrebbe essere un inno alla vita, un po’ all’ultimo Resnais (e forse alla René Clair), ma non ne possiede né la leggerezza, né la consistenza.

Delude l’ambizioso francese fantascientifico The Assessment, esordio di Fleur Fortuné. In un futuro distopico Aaryan e Mia abitano in una villa isolata che domina il mare (le riprese sono state effettuate a Tenerife). Tutto è governato dalle macchine e dall’intelligenza artificiale che esaudiscono ogni richiesta. All’improvviso si presenta Virginia (Alicia Vikander), la verificatrice (da qui “la verifica” del titolo) che siano in grado di diventare genitori. Le sue provocazioni sono però scontate, sconcertanti e tirate per le lunghe, per un film che la mette giù pesante senza avere molto da dire, se non forse l’inadeguatezza a essere padre e madre, ricalcando gli schemi dell’intrusa e dei film di Lanthimos.

Ha del buono Nero, esordio registico dell’attore Giovanni Esposito (tra i suoi tanti lavori, da ricordare i più recenti Loro, I fratelli De Filippo o Zamora), ambientato nei dintorni di Napoli. Paride, detto Nero, durante una rapina a un supermercato spara accidentalmente a un benzinaio che sta facendo acquisti. La vittima sembra morta, ma Nero si avvicina, tocca l’uomo e questi torna in vita, come se non fosse stato colpito. Il protagonista va in mare a lavarsi e scopre di aver perso il senso del tatto. Il fatto non è passato inosservato, tanto che la stazione di servizio e la corsia del negozio diventano luoghi di pellegrinaggio spontaneo. Intanto l’agente Abate che indaga sul caso risale presto al colpevole, ma lo lascia libero in cambio della guarigione della figlia. Così Nero resta anche senza l’olfatto, ogni “miracolo” comporta la rinuncia a un senso, ma le richieste di guarigione continuano ad arrivare, anche da parte di un boss della camorra. Nero è un film non banale, con alcune trovate interessanti che fanno perdonare alcuni passi falsi (il boss mafioso un po’ folkloristico, la canzone Felicità di Lucio Dalla che c’entra poco). Forse manca un po’ di ritmo e di una regia convinta, ma ha una buona storia e buoni interpreti. C’è qualcosa del cinema di Matteo Garrone, per ambientazione, atmosfere e personaggi (la marginalità, la piccola criminalità), anche se qui prevale una vena miracolistica. Una pellicola sull’amore fraterno (Paride vive con la sorella disabile Imma), il sacrificio e il tentativo di rivalsa di un perdente, che cerca pure di riconquistare la ex Alba. Quest’ultima è d’origine albanese, arrivata in Italia con la nave Vlora (quella raccontata ne La nave dolce) e porta ancora le bruciature di quel viaggio terribile.

Nicola Falcinella

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