Soltanto François Ozon poteva cominciare un film come una fiaba macabra, cioè arrangiando un matrimonio al posto di un funerale con tanto di sposa cadavere, feretro bianco inumato tra rose altrettanto bianche e un corteo di uomini tristi al seguito. Tutti che piangono la morte di una principessa albina e dal sorriso troppo sofisticato per non destare sospetti, qualcuno invidiandola, qualcun altro forse prendendosi la sua rivincita. È infatti la rivalità tra due amiche d’infanzia che Ozon mette in scena in un prologo ambiguo più di una pellicola di Chabrol, ovvero quella tra la rossa Claire (Anïs Demoustier) e la bionda Laura (Isild Le Besco), una verginella preraffaellita la prima, una venere botticelliana la seconda. Sono cresciute assieme, loro due, hanno fatto il patto di sangue e hanno inciso il loro nome sulla corteccia di un albero. Peccato che Laura sia sempre stata un passo più avanti dell’amica, ha avuto i ragazzi più interessanti, è la più quotata a scuola, e persino quando Claire convola a nozze con Gilles (Raphaël Personnaz), quell’antipatica della biondina si fa mettere incinta per sbugiardarla e ricordarle che in fin dei conti è ancora lei la migliore. Raggelante. Ozon ci racconta la storia di queste signorine da classe media con la cinica normalità di chi finge che tutto vada bene, salvo poi catturare il sorrisino compiaciuto che Claire rivolge all’inarrivabile Laura quando questa, puerpera, sta morendo consumata dalla malattia. Ecco il funerale celebrato come un matrimonio, il Lohengrin wagneriano ad accompagnare l’ambita salma, l’invidiata Laura è morta e Claire si deve occupare del figlioletto e del di lei marito David (Romain Duris). Un giorno Claire si reca da David per vedere come sta, entra in casa di nascosto e scopre che l’uomo ama travestirsi da donna. Il marito della sua defunta amica è un simpatico pervertito, che si agghinda con gli abiti della morta, si impiastriccia di rossetto e sogna di ancheggiare per le vie del centro in gonna, tacchi e parrucca.
Il riferimento ad Almodóvar è dietro l’angolo, ma Una nuova amica, tratto da un racconto di Ruth Rendell, è in realtà una storia di fantasmi senza contorno gotico. Tanto il regista spagnolo è compiaciuto, casinista e maleducato, tanto il francese preferisce le sottigliezze, gli arzigogoli, le insanabili discrasie tra immaginazione e realtà, e il rapporto contraddittorio che il confronto tra i due campi finisce per apportare. Almodóvar è come un bambino fermo alla fase anale, che gioca con i propri escrementi, le deiezioni, il raccapricciante, strizzando l’0cchio all’arcigay e a una certa correttezza politica radical; Ozon è già ontologicamente fallico, sposta il centro di piacere dall’ano al pene, con tutto ciò che ne consegue a livello di scelte registiche. Il rapporto morboso che si viene a creare tra Claire e Virginia (questo il nome d’arte dell’amico transgender, da leggersi tronco: rigorosamente à la française) è soltanto l’astuta scusante per rappresentare un transfert lesbico che la stessa Claire aveva represso nell’infanzia: attratta segretamente dall’amica Laura, ma troppo convenzionale per rivelarsi, troppo prevedibile per adescarla con le armi della seduzione muliebre, ella aveva sublimato platonicamente il suo desiderio, salvo poi muoverlo sulla parafilia della sua nuova amica: troppo simile a Laura, stessi vestiti, stessa parrucca bionda, Virginia è il sogno proibito della donna borghese, il saffismo compromissorio tra la metà maschile di David e quella femminile del suo artificio, il fantasma per eccellenza di ciò che Laura non aveva potuto essere. Per questo Claire accompagna Virginia nelle sue peregrinazioni al centro commerciale, la veste e la sveste, le offre consigli su come truccarsi. Così come Claire ha vissuto per anni nell’ombra di quell’amica troppo sofisticata, perfetta, in fin dei conti persino odiosa, adesso potrà baloccarsi con le imperfezioni di Virginia, seguendone i primi timidi passi nel suo mondo al contrario, dove una donna con la barba non desta più stupore di una Claire puntualmente vestita da maschietto. È il gioco degli opposti, la riscrittura di un copione che nessuno degli attori ha mai accettato fino in fondo.
Ozon è però più cinico di quanto le sue scanzonate allusioni alla commedia lascino suggerire, e come sempre sfrutta il canovaccio dei rapporti famigliari per dare corpo all’attitudine manipolatoria degli individui. I suoi film precedenti convergono tutti in questa direzione: Nella casa (2012) era la storia di un ragazzino che manipola il suo insegnante, e di un insegnante che si fa manipolare dal suo discente; Giovane e bella (2013) inscenava il dramma (esistenziale più che sessuale) di una puttana che accumulava soldi senza spenderli, cioè che si prostituiva per il piacere di controllare le pedine della sua esistenza: clienti e genitori. Una nuova amica aggiunge un tassello al puzzle, Claire si finge maschio per sorvegliare (ovvero proiettare il proprio desiderio di potere) l’amichetta che durante l’adolescenza così spesso le era sfuggita. In un momento, è lo stesso Ozon a entrare in sala per palpeggiare le gambe pelose di Virginia, ma questa volta Claire reagisce spiegando a quel marpione del regista che, da qualsiasi angolazione la si guardi, si tratta comunque di una storia da donne. Qualunque cosa il vocabolo stia a significare.
Marco Marchetti
Una nuova amica
Titolo originale: Une nouvelle amie. Regia: François Ozon. Soggetto: Ruth Rendell. Sceneggiatura: François Ozon. Fotografia: Pascal Marti. Montaggio: Laure Gardette. Musica: Philippe Rombi. Interpreti: Anïs Demoustier, Raphaël Personnaz, Isild Le Besco, Romain Duris. Origine: Francia. Anno: 2014. Durata: 107 min.