Ci sono alcuni registi le cui carriere sono più frenetiche di un giro sulle montagne russe, fatte da ripidissime salite e repentine discese, da giri della morte mozzafiato e inversioni impreviste di marcia, ma anche da interminabili attese a testa in giù. Chi ci sta abituando, nel bene e nel male, a stare sul roller coaster è M. Night Shyamalan, regista di origini indiane naturalizzato statunitense, che tutti ricordano soprattutto per Il Sesto Senso. Ma andiamo con ordine, saliamo sull’ottovolante e godiamoci il giro.
Dopo un esordio in sordina pressoché sconosciuto al grande pubblico, Ad occhi aperti, è proprio con Il Sesto Senso (1999) che Shyamalan inaugura la sua grande attrazione nel più bel parco giochi del mondo, il Cinema: si tratta di un esordio folgorante, un cupo ed elegante thriller soprannaturale con Bruce Willis nei panni di uno psichiatra infantile che fa amicizia con un bambino che “vede la gente morta” (cit.). Il film, al di là di qualche pregiudizio da parte di chi non riesce a sospendere del tutto l’incredulità, si rivela un successo planetario, ha il merito di farlo conoscere al mondo e contiene alcuni elementi che diventeranno ricorrenti nelle opere a venire: in primis il colpo di scena finale che ribalta la prospettiva e fornisce una chiave di lettura opposta rispetto a quello che lo spettatore ha creduto di vedere.
Una volta avviato il motore della giostra, la sensazione è che Shyamalan sia infermabile, esattamente come sembra indistruttibile il protagonista di Unbreakable – Il Predestinato (2000): meno horror questa volta e più misticismo per una storia di supereroi atipici e molto lontani dagli attuali canoni Marvel, con un cast stellare che, oltre ancora una volta a Bruce Willis, vede un enorme Samuel L. Jackson porci una serie di domande pseudo-filosofiche per conto di Shyamalan, per stupirci infine con un altro finale a sorpresa. E le stesse atmosfere mistiche, virate però verso il paranormale, si respirano nell’opera successiva, The Signs (2002), con Mel Gibson nei panni di un reverendo che ha perso la moglie e la fede, alle prese con degli alieni che si divertono a lasciare enigmatici e inquietanti messaggi nei crop-circle della sua fattoria.
Shyamalan fa poi toccare alla giostra la massima velocità con The Village (2004). È un regista che ha definitivamente abbandonato gli stilemi fini a se stessi del genere horror, dimostrandosi capace di affrontare temi molto impegnati, quali l’isolamento, la paura e la morte; i grandi attori di Hollywood fanno a gara per recitare nei suoi film e con questa pellicola sembra davvero che nulla lo possa fermare, nemmeno i mostri che vivono fuori da un misterioso villaggio non definito nello spazio e nel tempo, metafora di un’America che cerca di tenere il male lontano dai suoi confini. The Village è un’opera matura, complessa e profonda, che rappresenta il picco più alto delle montagne russe per un regista che a questo punto della sua carriera ha saputo fare del terrore, visivo e mentale, una cifra stilistica come pochi altri colleghi della sua generazione sono stati in grado.
Ma chi conosce le montagne russe, sa che dopo ogni salita c’è una discesa e quella di Shyamalan è davvero vertiginosa a causa di tre insuccessi come Lady in the Water (2006), una fiaba nera fiacca e irritante, L’ultimo dominatore dell’aria (2010), un blockbuster per ragazzini di cui nessuno sentiva la necessità, e After Earth (2013), probabilmente uno dei punti più bassi della carriera di Will Smith (per l’occasione anche sceneggiatore e produttore) qui insieme al figlio Jaden costretto a un percorso iniziatico per dimostrare di essere un vero ranger e non aver paura degli alieni (?) cattivi. Caduta solo parzialmente rallentata dal discreto E venne il giorno (2008), un thriller morboso e paranoico che all’apparenza sembra poter far considerare il precedente Lady in the Water un innocuo passo falso in un curriculum fino a quel momento perfetto.
Shyamalan prova in ogni modo a risalire la china: ha già abbandonato da anni la Disney che gli metteva troppi paletti e cambiato casa di produzione, ha chiamato nei suoi film le più grandi star hollywoodiane in circolazione (chi sulla carta meglio di Will Smith per rilanciarsi?), ma poi c’è sempre qualcosa che non funziona fino in fondo. La sensazione è che l’attrazione sia destinata a chiudere prematuramente perché non fa più paura a nessuno, se non che, in ogni montagna russa degna di questo nome, dopo un momento di snervante attesa in cui sembra che il giro sia finito, si riparte con un avvitamento vorticoso e mozzafiato: ed eccoci quindi a The Visit (2015) un horror – un vero horror finalmente! – a basso costo che rimanda a The Blair Witch Project come stile e sviluppo, incentrato sulla visita di due ragazzini ai nonni che non hanno mai conosciuto. Grandissima attenzione ai dettagli, alcune scene orrorifiche davvero riuscite e il solito gioco dei colpi di scena che questa volta tornano a funzionare perfettamente. Insomma, un film davvero sincero e convincente, con attori pressoché sconosciuti, che rilancia la capacità di Shyamalan di giocare con le paure degli spettatori e lo rimette in carreggiata.
La risalita di Shyamalan prosegue poi con altri due film che, insieme ad Unbreakable, vanno a costruire il cosiddetto shyamalan verse: Split (2017) e Glass (2019). Il primo, con un ottimo James McAvoy, è la storia di uno psicopatico affetto da un disturbo di personalità multipla (23 diverse personalità cui se ne aggiunge una latente e pericolosissima, “la Bestia”), mentre il secondo mette “la Bestia” contro il vigilante (Bruce Willis) e il supercattivo (Samuel L. Jackson) di Unbreakable all’interno di un unico universo che riunisce due film lontani nel tempo e all’apparenza slegati tra loro: un progetto ambizioso che – se non lo si prende troppo sul serio – in un periodo storico in cui film di supereroi tutti uguali tra loro la fanno da padroni, funziona complessivamente abbastanza bene.
Prima del fine corsa, il treno diretto da Shyamalan fa una deviazione dalle sale cinematografiche con un’inquietante serie televisiva (ovviamente dell’orrore e disponibile su Apple TV) che gioca su alcuni stilemi classici del genere: una giovane coppia in crisi per l’improvvisa morte del figlio neonato, chiama una babysitter a vivere con loro per occuparsi di… una bambola! Poi il giro sulle montagne russe volge al termine, almeno per il momento, con la sua ultima fatica, Old (2021), libero adattamento della graphic novel francese Sandcastle, nella sale cinematografiche in questi giorni: protagonista è una spiaggia tropicale deserta che nasconde un terrificante segreto e permette al regista di fare, ovviamente a modo suo, una serie di riflessioni sullo scorrere inesorabile del tempo.
Ora che la giostra è momentaneamente ferma in attesa della ripartenza, nonostante le critiche dei palati più raffinati e al di là di alcuni flop, possiamo dire M. Night Shyamalan resta uno dei registi più talentuosi e creativi del panorama internazionale. Pochi altri infatti sono riusciti a dar vita a filmografie tanto definite e riconoscibili quanto la sua: i geniali colpi di scena che ogni volta ribaltano la prospettiva, le location spaventose e claustrofobiche, l’inquietante fotografia sempre a metà tra fantasia e realtà, i villains misteriosi che affollano un immaginario dell’orrore in costante divenire, e i camei “alla Alfred Hitchcock” che il regista si diverte a fare praticamente in ogni film. Di sicuro le montagne russe possono non essere la giostra preferita di tutti quelli che vanno al luna park, ma nessuno può negare che anche a guardarla dal basso senza salirci, l’eccitazione che crea Shyamalan è pressoché unica. E non è proprio questo tipo di adrenalina che ci si aspetta quando si sale su un ottovolante?
Luca Masera