Oltreconfine: i film che non ci fanno vedere
Twixt
Regia e sceneggiatura: Francis Ford Coppola. Fotografia: Mihai Malaimare Jr. Montaggio: Kevin Bailey, Glen Scantlebury, Robert Schafer. Musica: Dan Deacon, Osvaldo Golijov. Interpreti: Val Kilmer, Bruce Dern, Elle Fanning, Ben Chaplin. Origine: USA. Durata: 90 min.
Coppola è uno di quei mestieranti che negli ultimi tempi si divertono a fare film per se stessi. È come se il regista di Detroit avesse dato al cinema tutto quello che umanamente, sentimentalmente, artisticamente si sentiva capace di offrire, e che ora, per citare (neanche tanto a sproposito) un suo ultimo lavoro, si abbandona a un’altra giovinezza in qualche modo autarchica e compiaciuta, lontana dai fasti di Hollywood, dai grandi attori (Twixt è il ritorno alla ribalta di un Val Kilmer ormai ingiustamente decaduto), dai lustrini e dai fracassi. Twixt va allora interpretato con spirito critico del tutto differente rispetto a quello con cui siamo soliti accostarci alla settima arte, perché non è un film per le masse, né per un pubblico scelto, ma un prodotto utile innanzitutto a soddisfare la vanità intellettuale di un regista comunque competente. È quasi un atto d’amore, e al tempo stesso un film testamentario, fatto di frammenti, di suggestioni, di percezioni legate non tanto all’horror, di cui potrebbe definirsi più una costola, un fascio nervoso che un’espressione in sé compiuta, quanto all’idea che di horror il cinema ha saputo proporre nelle ultime decadi. Vi ricordate Dracula? Ecco, questa pellicola è la stessa cosa, soltanto di segno opposto. È un’antitesi, una struttura a chiasmo le cui opposizioni si reggono con fragilità tra di loro, completandosi e (forse) negandosi a vicenda. E pur essendo molto più imperfetto del nobile predecessore, Twixt ne diviene tuttavia uno strascico, privo di una narrazione credibile o perlomeno consequenziale, e al contrario tutto giocato sulle rifrazioni, sui volti, sui costumi in bilico tra modernità e ricostruzione storica e scenografica.
La storia è una matrioska di citazioni, una vicenda che ne contiene un’altra per preludere a una terza che forse si incastra tra le prime due. C’è questo scrittore di nome Hall Baltimore (Val Kilmer) che, come già indicato dal nome, incontrerà il fantasma di Edgar Allan Poe (Ben Chaplin) per le buie e assonnate contrade di Swann Valley, California, e presso il cui hotel il grande maestro aveva un tempo pernottato. Poi c’è la piccola V (Elle Flanning), una vampira che si potrebbe considerare un frullato tra Twilight, un videoclip di Gottfried Helwein e una produzione Hammer, e che diventando amica di Baltimore, lo condurrà in un viaggio surreale tra le cronache più oscure del villaggio, quelle volutamente rimosse dalla memoria cittadina e trasformate in materia di folclore locale. Fin qui niente di strano, ovvio, ma i differenti piani narrativi non collimano se non in alcuni punti, e alla fine uno spettatore perplesso, anche abbastanza annoiato, non può che arrendersi dinnanzi a un film che film non è, ma semmai qualcosa d’altro, una stratificazione di impressioni e stimoli, un mausoleo scanzonato di case stregate, luoghi misteriosi conditi di un’ironia irruvidita e granulosa.
Twixt è bizzarro (scegliete voi se in senso buono o negativo), ingombrante, forse persino altezzoso; è dicevamo un esercizio di stile, compresso tra la biacca gotica e gessosa dei suoi vampiri, i vestiti di organza e tulle e bustini ottocenteschi indossati da improbabili dark lady, e le sue fantasmagorie visive (Jimmy DiMarcellis, Marjorie Bowers e Katherine Covell i colpevoli), che strizzano l’occhio alla black comedy ma non lesinano in sontuose riedificazioni vittoriane. È insomma cinema di immagine, traballante sul piano della scrittura, pieno di lungaggini, inutili digressioni e che cerca forse un suo equilibrio strutturale pur senza mai trovarlo. Eppure, nel fruttifero mare del cinema, esso riesce a rivelarsi il raffinato caviale che tutti, almeno una volta nella vita, dovrebbero provare. Non è roba di tutti i giorni, per carità, ma di tanto in tanto è lecito deliziare il palato con qualcosa di esotico e sfizioso.
Marco Marchetti