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Tutti vogliono qualcosa

REV_3249.NEF1980, Austin – Texas. Jake arriva in un campus universitario da matricola. Gioca a baseball e con gli altri membri della squadra prende casa quattro giorni prima dell’inizio dell’anno scolastico. Conosciuti i compagni, l’attesa per la nuova avventura si consuma tra chiacchiere, locali notturni, festini a caccia di ragazze e un allenamento domenicale dopo una notte brava, fino a quando qualcosa ferma per un attimo il conto alla rovescia verso il primo giorno di scuola: Beverly, ovvero l’amore, probabilmente.
Tutto qui, poco altro. Trama esile, situazioni goliardiche che possono rinviare al filone del comico/demenziale dei campus movies, da Animal House a Porky’s. E invece, dal momento che dietro la macchina da presa c’è Richard Linklater, tra i più cerebrali registi nordamericani, Tutti vogliono qualcosa è molto di più. Il rovescio forse di Animal House che, girato da John Landis nel 1978, dopo il ritiro delle truppe statunitensi dal Vietnam, ma ambientato nel 1962, guardava ai giovani che in quella guerra ci avrebbero lasciato le penne. Linklater invece accende il sole del Texas nel 1980,DSC_2838.NEF raccontando la pochezza della prima generazione di ragazzi che il Vietnam lo avevano vissuto come una eco il cui riverbero scemava definitivamente. Non più uno spauracchio quindi a sbarrare il futuro, ma al contrario la prospettiva di realizzare qualsiasi desiderio senza prendersi necessariamente sul serio. Nell’anno dell’elezione di Ronald Reagan, Linklater ci suggerisce che l’edonismo era già ben più che sfondo, gli ingredienti ci sono tutti: la libertà non come ideologia ma come comportamento agito attraverso il sesso per il sesso, la soddisfazione del piacere veloce ma reiterato; la sfrontatezza verso madri e padri, cancellati, mai citati;  la frivolezza e l’azzeramento dell’impegno civile; la cura narcisistica del corpo, baffetti alla Freddy Mercury e movenze alla Village People; lo sballo senza critica sociale, che invece trovò il suo apice nei movimenti sessantottini.
Il regista texano sceglie lo sguardo di Jake, in apparenza vergine ma presto sedotto dagli scintillii del nuovo, per registrare un microuniverso di atleti allergici all’impegno che non sia quello di trovare la misura di un lancio o una battuta nel diamante del campo, con l’idea fissa della … (di quella cosa lì, insomma). E se un minimo di cultura è distillata in questi cervelli, è solo per sciorinare frasi ad effetto, combinate strategicamente per portarsi a letto la bambola di turno. Fa eccezione il trentenne imboscato che ascolta vinili psichedelici, tenta viaggi astrali e la telepatia, emblema di un mondo che non esiste più.
Linklater, che ci aveva raccontato il passaggio dall’infanzia all’età (quasi) adulta in Boyhood, in una delle più ardite e folli imprese cinematografiche della storia del cinema (un film lungo dodici anni, girato in dodici anni), adesso comprime il tempo in quattro giorni, puntellando il film con un conto alla rovescia che lascia presagire un climax che invece non ci sarà, perché porta dritto ai banchi universitari in cui i giovani protagonisti si addormentano dopo un bagno sfrenato nel pop. Pop come cultura popoular o i rigurgiti del pop o le tendenze che diventeranno popoular: la serata disco, la serata country, la serata punk, la festa happening di tendenza intellettualoide. Sembra ripartire dal finale di Boyhood, perché in un college aveva tagliato il cordone con la storia di Mason. Ma solo per depistarci, perché di Mason aveva seguito la formazione fino a l’immagine di un futuro tutto da conquistare nell’America del crack finanziario. In Tutti vogliono qualcosa invece siamo di fronte a quella generazione che del crack sarà protagonista, sventolando la bandiera dei sacri valori nazionali, mentre il culto dell’io, la retorica della vittoria a tutti i costi, dell’uomo che si fa da sé e chissene frega a discapito di chi, della seduzione del lusso, giustificherà le più sporche nefandezze in campo economico.

https://www.youtube.com/watch?v=uI1EpPRcxT8

 

La vita è un sogno (pellicola del 1993) è un’altra voce lontana in questo film; e ancora “vita è sogno” diceva una delle tante comparse di Waking Life (2001). Ma il sogno fa presto a trasformarsi in incubo. Del resto tutti vogliono qualcosa e non basta l’inizio di un amore – tra l’altro sbocciato sulla superficie di un lago per nulla profondo e sulle rime di frasi caramellose e scontate – a rendere meno opaco il ritratto dei peggiori ragazzotti visti al cinema negli ultimi anni. Che i sogni (o la vita) salvino Jake e Beverly.

Alessandro Leone

Tutti vogliono qualcosa

Regia e sceneggiatura: Richard Linklater. Fotografia: Shane F. Kelly. Montaggio: Sandra Adair. Interpreti: Blake Jenner, Tyler Hoechlin, Wyatt Russell, Zoey Deutch, Glen Powell, Ryan Guzman. Origine: Usa, 2016. Durata: 116′.

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