Tantissime sono le opere presentate alle 36^ edizione del Torino Film Festival. Il programma sempre più eterogeneo è stato stilato dalla direttrice Emanuela Martini, in collaborazione con i responsabili di sezione Massimo Causo e Davide Oberto. Anche questa edizione è riuscita a soddisfare i gusti di tutti, tra opere prime, seconde e terze del concorso, i film di genere della sezione Afterhours, la riflessione sul cinema in Onde e i documentari italiani e internazionali. Non potevano poi mancare le retrospettive ai grandi maestri del passato, tra cui Powell e Pressburger e Jean Eustache (con la proiezione in 16mm di tutti i suoi corti e mediometraggi). Il festival decide anche di dedicare l’intera giornata del 2 dicembre al recente scomparso autore italiano Bernardo Bertolucci. Un omaggio, organizzato in collaborazione con la Cineteca di Bologna, che ha riproposto sul grande schermo una selezione di tre dei suoi film più significativi (Novecento, Il conformista e Io ballo da sola).
In questo vasto panorama, quattro sono le opere che andremo a presentarvi in questo articolo, a cominciare con due film in concorso La disperation des lucioles e Vargur/Vultures.
Il primo è l’opera terza del regista canadese Sébastien Pilote, nuovamente al festival dopo i pluripremiati Le vendeur e Le démantèlement. Protagonista del film è Léo, giovane studentessa alla ricerca di se stessa e del proprio futuro. L’esame di maturità è infatti alle porte, suo padre è lontano mentre i rapporti con la madre e il nuovo patrigno sono un disastro; Léo pare soffocare. La speranza si riaccende quando incontra Steve, ragazzo molto più grande di lei che l’accoglie in casa propria trasmettendole la sua passione più grande, la chitarra. Un’opera delicata e profonda in cui il regista sceglie, come anche dichiara in una lettera al pubblico, di abbandonare gli orpelli e i temi del passato per dedicarsi a qualcosa di più essenziale e godibile nella sua linearità e semplicità. Dove sono scomparse le lucciole?
Cambiamo completamente toni con Vargur, opera prima del regista islandese Börkur Sigthorsson. Si tratta infatti di un noir in cui vige crudezza e sconforto, racconto di una società afflitta dal crimine che agisce nell’oscurità, nella cornice di un nord Europa troppo spesso idealizzato. Il regista mette in scena la storia di due fratelli, il primo un prestigioso avvocato e il secondo un piccolo criminale, che si ritrovano a collaborare in un contrabbando di cocaina. La vittima è una giovanissima ragazza polacca che trasporta con sé da Copenaghen a Reykjavik la droga ingerita sotto forma di capsule. La situazione si complica quando una volta arrivata in aeroporto comincia a star male attirando l’attenzione della polizia… Una storia di tensioni e violenza che ci mostra senza filtri una corsa spietata al riparo dopo la crisi finanziaria globale che scoppiò nel 2007 in America e ebbe gravi ripercussione, a detta dell’autore, anche in Islanda.
“Un film che ci spinge oltre il film stesso con una messinscena grottesca e performativa che, seppur imperfetta, permette di accogliere lo slancio vitale e disperato del protagonista”. Questo è il commento della giuria che ha premiato il documentario Il gigante pidocchio di Paolo Santangelo con una menzione speciale per la categoria Italiana.doc. Il documentario esplora desideri e pulsioni di un pastore siciliano, Gaspare Vitabile, che fa dell’ironia la sua arma contro l’aspra vita. Gaspare – personaggio corpulento, con la pancia grossa e un faccione simpatico – vive nella campagna di Sciacca, non possiede nulla se non le sue pecore e un tetto in cui dormire e fin da piccolo è stato etichettato come il “pecuraru” ignorante. Gaspare dimostra però di avere una curiosa sensibilità verso l’arte, il cinema e la poesia. Il film si apre con un suo lungo monologo in camera da cui traspare immediatamente ottimismo e tenacia: “volevo recitare e ora sono il protagonista di un film”. Tra siparietti musicali, simpatiche gag, fantasticherie e remake faidate di celebri scene del cinema (si va da Full Metal Jacket a 2001: Odissea nello spazio, passando per Ritorno al Futuro), Gaspare si racconta e si fa amare dal pubblico nella sua totale ingenuità. Questa è appunto la storia di un gigante che con la sua innocenza e leggerezza si fa spazio tra i pidocchi.
Chiudiamo questa rapida carrellata da TFF36 con il film americano non in concorso Can you ever forgive me? di Marielle Heller. Si tratta di una commedia che porta sul grande schermo la storia della scrittrice Lee Israel (Melissa McCarthy) che, dopo i successi delle sue prime biografie, si ritrova d’improvviso senza un lavoro perché ritenuta “fuori mercato”. Lee è quindi costretta a reinventarsi alla svelta trovando un rapido guadagno nella truffa letteraria con la falsificazione di lettere di celebrità decedute. Una storia amara, seppur raccontata con i toni leggeri della commedia, che ci fa affezionare alla protagonista, interpretata da una Melissa McCarthy da Oscar, quanto riflettere sulla precarietà umana, tra imprevisti successi e inevitabili disfatte.
da Torino, Samuele P. Perrotta