«Da che parte vuoi stare? vuoi andare avanti o andare indietro?». E se il dietro e l’avanti coincidessero, in una sorta di crogiolo spazio-temporale in cui gli universi compossibili non si escludono gli uni con gli altri, ma si affiancano, si intersecano, si compenetrano, al punto da rendere ogni cosa possibile?
La Disney, senza dubbio, guarda avanti. Dopo l’appannamento degli anni ’90 e d’inizio terzo millennio – Pixar esclusa, naturalmente –, la grande casa di Michey Mouse e Donald Duck non manca di sorprendere anche il pubblico più esigente, se non altro per lo sforzo di introdurre argomenti che un tempo venivano risolutamente evitati o dissimulati dietro a candide metafore fiabesche, a cominciare dalla tematica della morte, la quale è affrontata oggi in modo sempre meno simbolico, convertendosi dal sonno momentaneo di una fanciulla colpita da sortilegio, in una dipartenza vera, definitiva, contro la quale il bacio di un aitante principe piumato non sortisce più l’antico effetto.
È il Cinema che cambia, verrebbe da dire, o forse è il pubblico a essere cambiato, a essersi fatto più esigente, ivi compreso quello infantile, abituato ormai a guardare la realtà in faccia, in tutta la sua efferatezza, grazie a sistemi di comunicazione sempre più sofisticati, capaci di spettacolarizzare ogni possibile avvenimento del globo, pubblico e privato. Dopo l’11 settembre e le scene di decapitazione trasmesse via internet, la morte è diventata qualcosa di quotidiano nelle case del cittadino medio, di costantemente presente, col rischio concreto di rendere i fruitori di televisione e Web sempre più insensibili, tanto alla violenza quanto alla paura e allo sdegno. Il nuovo film della Disney racconta proprio di questo, in chiave fantasiosa certo, ma ugualmente efficace, descrivendo la morte come una sorta di entropia connaturata alla realtà, che trae alimento dall’abitudine al brutto, alla mediocrità e a tutto ciò che impedisce di sognare, di immaginare mondi impossibili, di guardare insomma oltre la cruda materialità delle cose.
Il protagonista di Tomorrowland, scardinatore di questo sistema, poteva perciò essere soltanto un bambino – non sono forse i bambini, nel loro egocentrismo debordante, a credere che una cosa esiste per il solo fatto di poterla immaginare? –, Frank Walker (Pierce Gagnon) un entusiasta enfant prodige della scienza che si reca all’esposizione universale di New York del 1962 per presentare un rudimentale quanto avveniristico jetpack di sua invenzione. La macchina, però, è malfunzionante e non passa la selezione. Tuttavia, c’è qualcuno che non ha potuto fare a meno di notare lo spirito visionario del piccolo inventore, Athena (Raffey Cassidy), un robot-bambina programmato appositamente per reclutare sognatori e metterli al servizio del progetto “Tomorrowland”, la città del futuro, un posto collocato in una bolla spazio-temporale, pensato per rendere l’esistenza migliore, più vivibile, nella quale tecnologia e natura possono finalmente sposarsi e l’armonia regnare sovrana tra gli uomini. Frank viene perciò reclutato, ma qualcosa va subito storto nella neonata Nubicuculia americana. L’egoismo e la paura contaminano anche i suoi visionari progettisti, a cominciare da David Nix (Hugh Laurie), capo dell’ambizioso progetto e governatore di Tomorrowland, il quale fa cacciare Frank, divenuto ormai adulto (George Clooney), dal team degli scienziati, trasformando la rebelaisiana “terra di domani” in una megalopoli desolata: un cadavere ipertecnologico di acciaio e vetro la cui funzione è divenuta ora solo quella di tenere fuori l’umanità dal sogno.
Tomorrowland non è un Matrix capovolto come a prima vista potrebbe sembrare, né la classica operazione manicheo-disneyana volta a separare nettamente i buoni dai cattivi. Se è abbastanza evidente, infatti, che all’interno della vicenda il bene trovi la sua naturale personificazione in Frank e nel suo alter ego femminile Casey (Britt Robertson), lo stesso non può dirsi per il male. David Nix, il personaggio che più tutti sembra incarnare il ruolo del villain di turno, ha tutte le sue buoni ragioni per credere che Tomorrowland debba essere interdetta al mondo; e ciò è motivato dall’osservazione stessa dell’umanità, dalle sue paure per il cambiamento, dalla morbosa nostalgia per il passato, dalla strenua difesa dei miseri privilegi acquisiti, dalla facilità con cui si arrende allo stato delle cose. «La banalità ferisce l’intelligenza», diceva Hugh Laurie quando ancora era il dottor House.
La verità è che quando si è piccoli, il futuro sembra diverso. Sì, perché il futuro risiede nel presente e cambia di continuo, a seconda di chi lo evoca e delle esperienze vissute, inducendo progressivamente l’uomo, specie con l’avanzare dell’età, ad affidarsi ai più assurdi idoli, tra cui v’è la morte stessa. La certezza della catastrofe può diventare, infatti, un feticcio irresistibile, una paradossale ragione di vita in grado di vincere persino l’istinto di sopravvivenza, perché pur sempre di una certezza si tratta e, in quanto tale, è ritenuta da taluni più confortante dell’inconsistente fantasia.
Al di là dell’operazione commerciale escogitata dai produttori disneyani, che si inserisce perfettamente nel contesto geopolitico attuale, in cui l’insicurezza economica, le mescolanze culturali ed etniche e le conseguenti problematiche esistenziali fanno gridare a gran voce l’ottimismo del miglior Frank Capra, Tomorrowland ha il merito di lasciar trasparire un orizzonte di speranza, senza retorica, senza forzature, poiché tale orizzonte è da sempre ciò che muove quell’incredibile caleidoscopio di fantasie chiamato Disney. L’idea della città del futuro, del resto, appartiene al sogno di quel visionario di papà Walt fin dal lontano 1948, quando cominciò a pensare a Disneyland, avendo in testa non solo il progetto di un parco di divertimenti per bambini, ma soprattutto la creazione di una città ideale, urbanisticamente perfetta, che fosse cantiere di continue sperimentazioni e creazioni fantasiose. Forse qualcosa non è andato anche in quel frangente. Brad Bird riprende però quell’antico sogno e lo trasforma in un lungometraggio in perfetto stile Disney, ma dalla doppia chiave di lettura, confezionando un’opera in cui presente e futuro, vita e morte, si avviluppano in una stretta disorientante all’interno della quale non è più sufficiente un soggolo nero o un mantello azzurro per intrappolare il bene e il male entro confini rassicuranti. Streghe e principi si scambiano i vestiti, e il bal musette ha finalmente inizio.
Manuel Farina
Tomorrowland – Il mondo di domani
Regia: Brad Bird. Sceneggiatura: Brad Bird, Damon Lindelof, Jeff Jensen. Fotografia: Claudio Miranda. Montaggio: Walter Murch. Musica: Michael Giacchino. Interpreti: George Clooney, Britt Robertson, Raffey Cassidy, Hugh Laurie, Pierce Gagnon. Origine: USA, 2015. Durata: 130’.