Presentato e accolto calorosamente l’anno scorso durante il Far East di Udine, Tokyo Love Hotel è uno dei pochissimi film proveniente dal festival friulano che viene distribuito. È un peccato perché il FEFF è da quasi vent’anni una realtà che porta in Italia registi famosi e non che meriterebbero un’adeguata visibilità.
Il film è l’ultima fatica di Hiroki Ryuichi, regista ormai sessantenne e mai distribuito in Italia, che esordì negli anni ’80 coi softcore per adulti e venne poi reso celebre una decina di anni fa da due film notevoli: Vibrator (2003) e It’s Only Talk (2006). Questo nuovo lavoro si svolge tutto nell’arco di un giorno e di una notte a Kabukicho, il quartiere a luci rosse di Tokyo, sotto lo sguardo stralunato e rassegnato del giovane Toru, un dipendente tuttofare dello squallido Atlas, uno dei tanti alberghi a ore di Tokyo. Toru è testimone del via vai, delle tresche che si succedono nella notte: amanti clandestini, le riprese di un film porno, ragazze fuggite di casa, una prostituta coreana malinconica, coppie clandestine, donne delle pulizie dal passato oscuro, poliziotti sporcaccioni, clienti che s’innamorano. Toru ritroverà qui anche la fidanzata Saya che sogna una carriera come musicista e la sorella Miyu divenuta una star del porno.
Il titolo originare è Sayonara Kabukicho e dice molto di più del titolo internazionale, il regista giapponese infatti vuole raccontare proprio la fine di questo quartiere pieno di illegalità ma anche di umanità: sesso, umorismo, speranza e forse destino sono gli elementi che guidano le bizzarre storie di Tokyo Love Hotel. Un racconto corale popolato da personaggi stralunati che punta a ritrarre il mondo sentimentale nel Giappone di oggi: sessualità, tradimenti, amori, prostituzione e pornografia sono gli elementi che Hiroki usa in questo film pieno di umorismo asciutto e senza sentimentalismi. È un film piacevole che, nonostante le due ore e sedici minuti, racconta bene le mille sfaccettature dell’amore. Kabukicho è lo sfondo perfetto per un racconto di questo tipo, le storie avrebbero però avuto bisogno di una sforbiciata: alcune sono solo dei bozzetti mentre altre avrebbero meritato un’elaborazione maggiore sia nelle concatenazione degli avvenimenti che nella scrittura dei personaggi. Ci sono troppi elementi buttati lì e non sviluppati (ad esempio lo tsunami che ha devastato la città dei genitori di Toru) che vengono però compensati dalla bravura di Hiroki nel dirigere le molte scene intorno al sesso: il nudo non lo spaventa e riesce così a restituirci il trasporto erotico, sia nello squallore che nel desiderio.
Tokyo Love Hotel esce con il marchio Tucker Film (la ricordiamo per le meritevoli uscite dei meravigliosi film restaurati di Ozu l’anno scorso) ed è sicuramente una buona notizia anche per il cinema giapponese che dopo i fasti degli anni ’90 con i film di Takeshi Kitano stava scomparendo dalla sale. Ora il cinema dell’estremo oriente sta trovando nuovo pubblico con i film di Kore-eda e della Kawase e speriamo che anche con questo film prosegua la strada ma ci sarebbe molto cinema, ad esempio tutto Kurosawa Kiyoshi, che meriterebbe di essere visto.
Claudio Casazza
Tokyo Love Hotel
Regia: Hiroki Ryuichi. Sceneggiatura: Haruhiko Arai, Futoshi Nakano. Fitigrafia: Nabeshima Atsuhiro. Montaggio: Kikuchi Junichi. Interpreti: Shota Sometani, Atsuko Maeda, Lee Eun-woo. Origine: Giappone, 2016. Durata: 136′.