Se è vero che un grande festival ha il compito di scoprire talenti, allora non dovrebbe far storcere eccessivamente il naso il Leone d’Oro assegnato a Venezia 72 a Ti guardo, diretto da Lorenzo Vigas. Dopo una gavetta tra spot e documentari, Vigas ha girato nel 2003 il corto Los Elefantes nunca olvidan, prodotto da Guillermo Arriaga, per approdare al lungo molti anni dopo proprio con questo film, opera prima tratta da un racconto dello stesso Arriaga, nome che molti associano ai primi film di Inarritu.
La vicenda è torbida. Siamo a Caracas, capitale del Venezuela. Armando (Alfredo Castro, attore feticcio di Pablo Larrain), proprietario di un laboratorio di protesi dentarie, vive solo. Ha un unico legame, la sorella, e un padre che odia profondamente. Quando non lavora, Armando adesca giovani nei quartieri poveri della città, li porta a casa sua e, senza mai toccarli, li fa spogliare sotto lauto compenso. L’incontro con Elder (Luis Silva) però stravolge la vita di Armando. I due instaurano un rapporto che non simula la relazione padre/figlio, ma nemmeno quella tra due amanti. L’uomo rifugge il contatto fisico, il ragazzo è disorientato dai modi gentili di Armando, che arriva a regalargli un auto di seconda mano. I loro sguardi si incrociano e si misurano con il contesto ambientale, fino a quando non confliggono drammaticamente.
Desde allà (così recita il titolo originale) significa “da lontano” e rimarca la distanza che Armando mette tra sé e i ragazzi di vita delle baraccopoli di Caracas. Lontani sono anche i contesti sociali tra l’odontotecnico e i giovani adescati, come lontano è il padre di armando che ha dimenticato i figli, dopo averli abusati (come alcuni dialoghi lasciano intendere). Da lontano Armando osserva l’universo affettivo della sorella e osserva la vita di Elder, barricandosi in una fortezza che pare inespugnabile, scegliendo dunque di consumare la relazione erotica con l’altro unicamente guardando fino all’orgasmo. In una lenta definizione dei contorni (e l’obiettivo di Vigas se ne fa metafora) è proprio mettendo a fuoco il corpo di Elder, che Armando inizia a prendersene cura, regalando al giovane emozioni inedite nel suo contesto sociale, dove sopravvivere spesso significa sopraffare.
Vigas costruisce i suoi personaggi con attenzione ai dettagli, asciugando i dialoghi e facendo parlare i corpi, comprimendo le emozioni fino ad improvvise esplosioni, sovrapponendo e confondendo i bisogni di amore di entrambi i personaggi, privi di strutture psicologiche solide e definiti al contrario dall’assenza di affetto. Evitando didascalismi pedanti, il regista allude senza spiegare troppo del passato di Armando, amplificando così l’ambiguità dei suoi comportamenti, fino al sorprendente epilogo. Al tempo stesso conduce lo spettatore a una lenta identificazione con Elder, anima fragile costretta a fingersi lupo, fino a comprenderne i turbamenti, le trasformazioni, i bisogni. Un’identificazione funzionale al ribaltamento del punto di vista, quando nell’ultima parte del film, Elder inizia a guardare Armando con tenerezza, pensando di poter colmare il divario tra mondi distanti, di rendere più vicino ciò che normalmente è lontano, come se a Caracas non esistessero più baratri sociali e, almeno per una volta, un Elder qualsiasi potesse smettere di correre per rimanere in vita.
Alessandro Leone
Ti guardo
Regia e sceneggiatura: Lorenzo Vigas. Fotografia: Sergio Armstrong. Montaggio: Isabela Monteiro de Castro. Interpreti: Alfredo Castro, Luis Silva, Jericò Montilla, Catherina Cardozo, Marcos Moreno. Origine: Venezuela, 2015. Durata: 93′.