La giuria del 77° Festival di Cannes gli ha conferito un premio speciale introdotto per l’occasione, negandogli la Palma d’oro che gli era stata pronosticata dai più, dopo un’accoglienza con applausi calorosissimi e quasi unanimi al termine delle proiezioni.
È il film iraniano The Seed of the Sacred Fig di Mohammad Rasoulof, già vincitore dell’Orso d’oro alla Berlinale 2020 con Il male non esiste. Il regista, incarcerato due anni fa dal regime, aveva lasciato clandestinamente il suo Paese pochi giorni prima del Festival, raggiungendolo quasi a sorpresa.
The Seed of the Sacred Fig è l’ennesima pellicola che critica duramente il regime iraniano, stavolta direttamente legata alle proteste seguite all’uccisione della giovane Mahsa Amini da parte della polizia. Proprio in quel settembre 2022 di manifestazioni e rabbia popolare, il padre di famiglia Iman è promosso giudice istruttore. Il suo primo gesto dopo la nomina, e la consegna di una pistola che avrà un ruolo determinante nella trama, è recarsi a un santuario fuori città per ringraziare. Dopodiché l’uomo rientra a casa dove lo attende la moglie Najmeh, soddisfatta perché potranno permettersi un appartamento più grande, con una stanza ciascuna per le due figlie che dormono ancora insieme, e una lavastoviglie. Sembra a un passo la sua nomina a giudice della corte rivoluzionaria, che coronerebbe vent’anni di cieca obbedienza al potere e il sogno di una vita agiata. La posizione della famiglia diventa però più esposta, la coppia deve rivelare alle figlie ventenni il vero lavoro del padre e prendere più precauzioni nei rapporti con vicini e amici. Si scoprirà presto che l’avanzamento di carriera contiene delle insidie, come il dover approvare in fretta una condanna a morte per ordine del procuratore senza poter studiare il caso. Intanto la figlia maggiore Rezvan, studentessa universitaria, vuole ospitare a casa l’amica Sadaf, che in seguito sarà ferita dalla polizia che reprime le proteste. Le ragazze appartengono alla loro generazione, vogliono essere libere, non sopportano più i vincoli, sono sui social, seguono il caso di Mahsa, ne parlano soprattutto con la madre (che crede alla versione ufficiale delle tv e sta a lungo dalla parte del marito), guardano i video delle proteste, sono arrabbiate con la polizia. Iman obbedisce alle leggi, che considera dettate da Dio, e continua a credere al regime anche quando scopre di essere usato.
Dalla partenza come racconto realistico della società, il film diventa un thriller metaforico con l’uomo che imprigiona e prende in ostaggio la famiglia, proprio come il governo persiano ha fatto in 45 anni. Del resto la didascalia iniziale spiega come il fico selvatico si riproduce e come soffoca l’albero che aveva parassitato. I temi riprendono quelli dei connazionali Jafar Panahi e Asghar Farhadi con uno stile avvolgente che ricorda il turco Nuri Bilge Ceylan per il passo romanzesco e il riferimento cechoviano della pistola che entra in scena subito. Rasoulof ha la mano del grande cineasta e regala almeno un paio di colpi di scena e diverse sequenze potenti, tenendo avvinti per quasi tre ore con un’opera importante. Il film racconta la paranoia di chi ha paura di perdere tutto e una lotta per la libertà. Si procede sul filo dello scambio di accuse, tra Iman e le donne della famiglia, ma chi è bugiardo? E si arriva al finale teso con bellissimo inseguimento che ricorda il labirinto di Shining.
Nicola Falcinella
The Seed of the Sacred Fig
Regia e sceneggiatura: Mohammad Rasoulof. Fotografia: Pooyan Aghababaei. Montaggio: Andrew Bird. Interpreti: Soheila Golestani, Missagh Zareh, Mahsa Rostami, Setareh Maleki. Origine: Germania/Francia/Iran, 2024. Durata: 168′.