Dopo decenni di latitanza dal grande schermo, il western sta ritornando prepotentemente alla ribalta. Sono almeno tre i titoli recenti da segnalarsi e che, pur con tutte le loro differenze, finiscono per costituire una specie di canone della modernità, o della maturazione di un genere. Del primo, The Homesman con Tommy Lee Jones e Hilary Swank, abbiamo già parlato; sul secondo, Slow West (2015), non c’è in verità molto da dire, se non per l’attore protagonista, Michael Fassbender, e per le scenografie cartoonistiche che traghettano la pellicola dalle parti del Sundance; del terzo e per ora ultimo della serie ne discutiamo adesso. The Salvation, la salvezza. Tanto per cominciare non si tratta di un film americano, ma danese. Il regista è un certo Kristian Levring, nato nel 1957, che è saltato agli onori della cronaca a inizio millennio per aver diretto il quarto film del Manifesto Dogma, The King is Alive. Questo suo nuovo lungometraggio con Mads Mikkelsen ed Eva Green arriva in sordina dopo altre due pellicole, The Intended (2002) e Fear Me Not (2008), e assomiglia così tanto a un film americano (per la regia, per la direzione degli attori, per le tematiche affrontate) che il tocco europeista del suo demiurgo rischia di eclissarsi. Certo tra i lavori sopraelencati, questo di Levring è ancora quello più “classico”, perché ubbidisce al paradigma western per eccellenza, il desiderio del settlement a cui si sottomettono i suoi protagonisti.
Siamo nel 1870: Jon (Mikkelsen) è un immigrato danese che ha trascorso diversi anni negli Stati Uniti, dove ha comprato della terra, si è costruito una casa e si è fatto una solida reputazione tra la gente del luogo. Un giorno opta per il “ricongiungimento famigliare”, cioè fa arrivare moglie e figlio in America per poter garantire loro un avvenire migliore. Durante un lungo viaggio in carrozza, due pericolosi fuorilegge, sgherri del perfido barone locale Delarue (Jeffrey Dean Morgan), stuprano e uccidono i congiunti del solitario cowboy. Jon non resta a guardare e uccide a sua volta i carnefici. Questo scatena l’ira furibonda di Delarue, fratello di uno dei due assassinati, che obbliga gli abitanti del posto, quegli stessi abitanti che hanno accolto amorevolmente l’immigrato europeo, a trovare l’assassino entro poche ore. Questa la prima parte del film, che in un certo senso è un film a sé, con delle regole interne, una simmetria fatta di rimandi e corrispondenze, la morte consumatasi sullo sfondo lunare del paesaggio americano, la rappresaglia come necessità dell’imperscrutabile destino (questo è invero un concetto molto scandinavo), la solidarietà tra migranti che abbandonano la miseria di casa loro convinti di imbattersi nella civiltà occidentale. Quindi The Salvation, scritto tra l’altro dallo sceneggiatore di Susanne Bier, cambia registro, abbandona la malinconia struggente dei suoi pleniluni di sabbia e sterpaglie, i silenzi delle distese infinite, il dolore trattenuto di un uomo che non si abbandona mai al pianto se non nel raccoglimento della propria abitazione. E diventa crudele, magnifico, osceno.
L’occhio dello spettatore, proprio come “l’extracomunitario” protagonista, si insinua nei meccanismi dell’integrazione, nei risentimenti di questa comunità rurale che dapprima agisce per paura, quindi per sospetto e brutalità. Quando Delarue chiede la testa di due uomini per placare la sua rabbia, ecco che questi piccoli individui, meschini e insulsi come spesso si rivelano i miserabili, conducono al cospetto del barone una vecchietta e un poveraccio. Gente anziana, debole, inabile al lavoro, non produttiva. Delarue si sazia del loro sangue ma poi, d’improvviso, uccide un terzo uomo, marito della bella Eva Green, che poi diventerà per forza di cose sua amante e collaboratrice. Aveva detto due uomini, non un uomo e una donna. Il cavillo, la leggerezza delle parole. Tutti ingannano tutti, l’onore appartiene a un passato fatto di rispetto e strette di mano, la morale soccombe di fronte alla legge del taglione.
Levring è un regista struggente e viscerale, coniuga l’orrore della violenza con la delicatezza del sentimento, e lo fa con un gusto per l’ellissi che omaggia alcuni grandi film del genere, primo di tutti Sentieri Selvaggi (1956). Il Mikkelsen incorniciato dalla porta della carrozza, che osserva l’orrore della carneficina senza la partecipazione dello spettatore, ricorda troppo il personaggio di John Wayne per dirsi casualità. Ma il punto di vista di Levring, che pur non cade mai nella retorica, è comunque più sottile, appuntito, e inserisce forse in filigrana una lettura dell’epica western che quasi si trasforma in una polemica sulla burocrazia, sul Leviatano dello stato liberale che tratta i propri ospiti come se fossero pericolosi sovversivi. La scena della prigione, chiaramente ricalcata da Un dollaro d’onore (1959), ribalta il topos del classico diretto da Howard Hawks: lì c’era la giustizia, interpretata per allegoria dal trio di pistoleri che tentava di proteggere il detenuto e garantirgli un giusto processo; qui i tutori dell’ordine utilizzano invece la giustizia in maniera personale e utilitaristica, rendendo il prigioniero stesso capro espiatorio di un sistema corrotto e autoreferenziale. Infine la sparatoria conclusiva, tratta da Mezzogiorno di fuoco (1952). The Salvation racchiude un mondo stratificato, cambia stile pur mantenendosi fedele alla forma, e pur mantenendosi fedele alle altre pellicole del western contemporaneo. Non ci sono più gli eroi perché non c’è più un ideale che ne giustifichi la presenza. Non ci sono più le grandi musiche che celebrarono a loro tempo i fasti del genere, ma soltanto uno spazio (anti)monumentale, sterile come gli uomini che lo abitano. Il mondo sta cambiando, ci dice Levring, e lo fa sbattendoci in faccia, in un’inquadratura esageratamente prolungata, un campo di trivelle petrolifere che si moltiplicano, che affollano un inquietante campo totale, memento di un’epoca che sta per imporsi.
Marco Marchetti
The Salvation
Regia: Kristian Levring. Sceneggiatura: Anders Thomas Jensen. Fotografia: Jens Schlosser. Montaggio: Pernille Bech Christensen. Musica: Kasper Winding. Interpreti: Mads Mikkelsen, Eva Green, Jeffrey Dean Morgan. Origine: Danimarca/UK/Sudafrica/Svezia/Belgio, 2014. Durata: 95′.