The program ripercorre le tappe della vita del ciclista Lance Armstrong, dai primi successi sportivi alla lotta contro il cancro, i sette Tour de France vinti fino all’ammissione di doping. Stephen Frears costruisce questo biopic partendo dal libro biografico Seven Deadly Sins: My Pursuit of Lance Armstrong del giornalista David Walsh che nel film ricopre il ruolo del vero antagonista del ciclista USA.
Quella di Lance Amstrong è la storia perfetta: campione del mondo giovanissimo in una piovosa gara ad Oslo nel 1993, vince negli anni seguenti alcune classiche, diventando un promettente corridore per le corse di un giorno. Nel 1996 la sua vita viene sconvolta dalla scoperta di un cancro ai testicoli potenzialmente mortale che lo tiene lontano dalle corse per tre anni. Ritorna al ciclismo nel 1999 e la sua è un’entrata in scena esemplare: in un ciclismo funestato dagli scandali legati al doping (tra i tanti ciclisti coinvolti Marco Pantani) la sua vittoria al Tour de France, la corsa tappe più importante del mondo, è la storia prfetta per redimere e rinnovare questo sport. Troppo perfetta per non insospettire il giornalista David Walsh che inizia in quell’anno la sua battaglia per la verità. Proprio su questo duello a distanza è costruito il film: da una parte Amstrong che negli anni acquisisce sempre più potere e prestigio, dall’altra il giornalista penalizzato proprio dalla suo rigore, allontanato dai colleghi e costretto a ritrattare le accuse.
Il regista inglese ci porta direttamente dietro le quinte, tra siringhe, flebo e i tanti accordi sottobanco, ma la forza del film è quella di restituirci la dimensione politica di Lance Amstrong, capace di condizionare il plotone in corsa e l’UCI (Unione Ciclistica Internazionale), giornali, televisioni e pure il cinema. Indimenticabile il suo cameo nel mitico Dodgeball – Palle al balzo di Rawson Marshall Thurber con un indimenticabile pippozzo al protagonista Vince Vaughn.
https://www.youtube.com/watch?v=Hb72h8M5L8U
Amstrong è contemporaneamente grande atleta, capobranco, studiato comunicatore e superbo mistificatore, un uomo che utilizza l’immenso dolore passato come primo carburante per la propria bugia: come può una persona che ha sfidato la morte, esempio per tante persone che soffrono di cancro, mentire così spudoratamente? Frears concede al campione americano un po’ di umanità nelle scene in cui è a contatto con i malati, nei dietro le quinte dei convegni dove la menzogna è più difficile da sostenere e sopportare. Sono i momenti più riusciti di un film che altrimenti risulta essere il piatto resoconto di vicende già ampiamente raccontate da altri media.
Un film troppo “leggero” per chi è minimamente appassionato di ciclismo e poco coinvolgente che per lo spettatore comune, dove il protagonista non regge il confronto con l’originale, un atleta-attore in grado di sostenere la sua complicatissima parte per decine di anni. Anche il suo mentore, quel Michele Ferrari inventore del “programma” alla base del suo successo, sembra più uno scienziato pazzo che un medico sportivo; imbarazzante la sequenza dei test in laboratorio dove Amstrong sembra l’Ivan Drago nel laboratorio sovietico di Rocky 4.
Consigliamo di accoppiare al film la visione del documentario The Armstrong Lie di Alex Gibney. Un documentarista rigoroso (premio Oscar per Taxi to the Dark Side e autore di Giong Clear: Scientology e la prigione della fede) che racconta la sua personale fascinazione per il campione texano e che, nel descrivere le stesse vicende del film, si domanda continuamente come abbia potuto lui stesso credere per così tanto ad una tale bugia. Anche l’intervista confessione da Oprah Winfrey è in questo senso un esempio della capacità recitativa del campione che di fronte alla scomoda verità sceglie modalità, parole e tempi per svelare il proprio bluff.
Siamo lontani anni luce dal tormentato bugiardo de L’avversario di Carrère (diventato un film con la regia di Nicole Garcia). Amstrong non subisce la menzogna, la rigenera costantemente alimentando una complessa ed affascinante narrazione popolare ad uso e consumo di media, sponsor e dei tanti appassionati di ciclismo. Tutti alla disperata ricerca di qualcuno che restituisca l’illusione che quelle immani fatiche siano il solo frutto della capacità di sopportare il dolore. Fiction allo stato puro.
Massimo Lazzaroni
The Program
Regia: Stephen Frears. Sceneggiatura: John Hodge. Fotografia: Danny Cohen. Montaggio: Valerio Bonelli. Interpreti: Ben Foster, Dustin Hoffman, Lee Pace, Chris O’Dowd. Origine: GB, 2015. Durata: 103′.