Billi (Awkwafina) è una trentenne single di origini cinesi. Vive a New York in un appartamento che si permette a fatica. In America ci è arrivata da bambina, quando la sua famiglia si è trasferita per motivi di lavoro. Adesso che all’amata nonna Nai Nai sono stati dati nemmeno tre mesi di vita a causa di un cancro ai polmoni, Billi e i genitori partono per Pechino. La scusa è il frettoloso matrimonio di un cugino con una ragazza da poco conosciuta in Giappone. Anche per il cugino e gli zii si tratta di un ritorno dopo anni in terra nipponica. Il matrimonio è l’occasione per ritrovarsi e concordare di tenere nascoste a Nai Nai le sue reali condizioni. Unica ad opporsi a questa decisione è Billi. Ne consegue un conflitto dialettico che chiama in causa tradizioni e retaggi, mentalità divergenti e polarità che vedono agli estremi modelli occidentali e orientali.
Lulu Wang, che come Billi è figlia della diaspora, esplora le tensioni familiari che nascono intorno alla tragedia della perdita di una persona cara attraverso il registro della commedia. Film dai toni apparentemente leggeri con dialoghi che a volte sembrano strofinare appena sulla patina emotiva di superficie, The Farewell ha la capacità di affrontare il tema del lutto prossimo (non certo una novità al cinema) avvicinando i personaggi prendendosi il tempo necessario, senza dire tutto subito nella definizione dei profili, per scoprire invece poco alla volta le ragioni di figli e nipoti. Ma se il matrimonio è il pretesto per raccogliere la famiglia intorno al capezzale della nonna/madre, che peraltro non vuole saperne di abdicare, anzi sprizza vitalità invidiabile nonostante qualche acciacco, lo stesso fulcro narrativo sembra l’occasione per affrontare un altro tema caro alla regista: ovvero la contaminazione culturale di chi ha lasciato il paese di origine e la conseguente, e manifesta, trasformazione. Decidere se dire o meno a Nai Nai che il tumore che la affligge presto la ucciderà perché è di origine maligna porta sul tavolo approcci esistenziali diversi, apparati etici che nel confronto non prevalgono mai, perché tanto la posizione di Billi, quanto quella del padre, dello zio e della zia (ovvero i figli di Nai Nai), paiono sensate secondo punti di vista che non afferiscono a verità assolute ma ad approcci personali alla morte e a come ci si arriva. Billi porta con sé l’America e per questo viene rimproverata dallo zio, che le ricorda come all’individualismo occidentale i cinesi contrappongono il tutto di cui è parte la vita di una persona.
Spessissimo la regista chiede al direttore della fotografia di far convivere tonalità fredde e calde, rendendo evidente il contrasto tra opposti.
Il film di Wang è una riflessione seria tanto sul lutto quanto sulla sopravvivenza di radici culturali nonostante le diaspore, ma la ricchezza della narrazione è nella capacità di ricorrere a un’ironia intelligente, che a tratti diverte e compatta i personaggi. Ci riesce attraverso lo sfondo, il matrimonio e tutte le sue fasi di preparazione, a cui partecipa anche la nonna, donna forte di esperienza, tenace, lottatrice, che non permette di essere accudita ma che pretende di accudire, che è poi un modo per vivere intensamente, con partecipazione. Allora il matrimonio diventa il motore ma anche l’opportunità per smorzare i toni, per trovare vie di fuga temporanee dal dramma. Una su tutte la scena delle fotografie agli sposi, dove la ritualità ridicola della messa in posa cozza con l’umore del futuro sposo.
Verboso e al tempo stesso allusivo, The Farewell coniuga tradizioni cinematografiche diverse proprio nella scrittura, dando sempre l’impressione di dire per non dire, di tradurre con dialoghi ordinari la complessità della natura umana di fronte alla morte e al pericolo della perdita delle radici.
Vera Mandusich
The Farewell – Una bugia buona
Sceneggiatura e regia: Lulu Wang. Fotografia: Anna Franquesa Solano. Montaggio: Matt Friedman, Michael Taylor. Musiche: Alex Weston. Interpreti: Awkwafina, Shuzhen Zhao, X Mayo, Tzi Ma, Yang Xuejian, Diana Lin, Becca Khalil, Yongbo Jiang, Han Chen, Aoi Mizuhara. Origine: USA, 2019. Durata: 100′.