Come la crisi modella e stimola l’uomo
Cosa accadrebbe se da un giorno all’altro nessun dispositivo elettronico sulla terra funzionasse più? Quali sarebbero le implicazioni socioeconomiche di un collasso di tali dimensioni?
Da questo “what if” si sviluppa il film di Shinobu Yaguchi, presentato in apertura al Far East Film Festival del 2017 e riproposto qualche giorno fa all’interno dell’iniziativa #iorestoacasa di Mymovies.
Seguendo il filone classico della commedia famigliare nipponica, Survival Family racconta le vicissitudini della famiglia Suzuki (mamma casalinga, papà impiegato d’ufficio e due figli adolescenti viziati e tecnodipendenti) che da un giorno all’altro, come l’intera città di Tokyo, si ritrovano senza energia elettrica e con tutti i dispositivi elettronici fuori uso. La società sembra essere tornata a una sorta di medioevo dove riappare il cielo stellato, le lampadine vengono sostituite dalle candele e alle macchine subentrano le biciclette. In questo scenario, Yaguchi sviluppa attentamente le fasi della crisi che attraversano i suoi personaggi, che passano da un’iniziale stato di negazione della realtà a una completa rassegnazione nel momento in cui si rendono conto che l’energia potrebbe non tornare più. Alla luce di questa presa di coscienza la decisione è quella di migrare, insieme a tante altre famiglie, verso le città limitrofe attaccandosi alla vana speranza di ritrovare quell’energia fulcro del modello di economia su cui pone le fondamenta la società contemporanea. Una certezza fino ad allora, che senza preavviso svanisce nel nulla rendendo pressoché inutili dispositivi come cellulari, tablet, televisori, orologi, porte scorrevoli, casse automatiche, e apparentemente impossibili le comunicazioni interpersonali e a distanza. Insomma, un mondo completamente bloccato e dis-globalizzato.
Lo scenario che si delinea, pur raccontato con toni leggeri, è quello apocalittico e di brigantaggio tipico di alcuni filoni fantascientifici americani. In questo nuovo sistema vige la legge del più forte e il caos più totale. Il denaro perde ogni suo valore, perché ciò che conta davvero ora è racimolare le risorse primarie per sopravvivere. I supermercati sono stati spazzati via da atti di sciacallaggio incontrollati (vi ricorda qualcosa?), non resta altro che tornare alle regole del baratto dove lo status sociale perde ogni suo valore e una Maserati non vale nemmeno un chicco di riso.
Piombati nella cruda realtà, la famiglia Suzuki troverà il modo di andare avanti e rafforzarsi nel lavoro di gruppo e nella solidarietà umana. In questo panorama la vita rurale si presenta come l’unico modello di vita ad aver preservato i ritmi e le “conoscenze” necessarie per affrontare un’esistenza al di fuori dei modelli economici e di consumo contemporaneo che ci vedono fortemente dipendenti da terzi. Come si macella un animale? Come si conserva la carne senza frigorifero? Dove si prende l’acqua se non esce dal rubinetto? Tutti problemi che la famiglia Suzuki fino ad allora non aveva dovuto affrontare e nemmeno lontanamente prendere in considerazione.
Come diceva il buon Kant, è necessario uscire dallo stato di minorità che ci incatena e aver coraggio di servirsi del proprio intelletto. Renderci quindi liberi da una condizione di dipendenza dalla guida di altri e cominciare a dar valore alla propria intelligenza. Per la famiglia Suzuki si tradurrà nel ritrovare dei ritmi umani, recuperare un contatto apparentemente scomparso col mondo e la natura che li circonda, riscoprire il valore del sé e di far parte di una comunità. Unirsi per uscirne più forti.
E come accade in qualsiasi crisi, come i Suzuki siamo costretti a scontrarci con noi stessi, guardarci nel profondo, capire chi siamo e dove stiamo andando per uscirne poi rinnovati e migliori di prima.
Survival Family è un film leggero per famiglia con molti punti di connessione con la crisi sanitaria che stiamo vivendo in questo momento. Un’attenta riflessione sul modello consumistico delle società contemporanee, su ciò che è realmente necessario nella nostra vita e ciò che invece è un accessorio insignificante. Una vicenda di finzione al limite dell’assurdo che oggi giorno non ci appare più così inverosimile dopo tutto.
Samuele P. Perrotta
Guida su come sopravvivere all’apocalisse 2.0
Cosa succederebbe se fosse la tecnologia a prendere le distanze dall’essere umano? Survival Family, brillante tragicommedia firmata Shinobu Yoaguchi, si colloca all’interno della cornice nipponica dell’analisi dei contesti familiari, via via sempre più fragili come presentato dalle opere del maestro Hirokazu Kore-eda, che si intreccia ad una tematica che trova spazio in diverse pellicole del cinema giapponese contemporaneo, ovvero la tecnofobia, intesa anche come rapporto di amore/odio nei confronti della tecnologia.
A seguito del boom economico degli anni ’60 il Giappone ha visto modificare le proprie abitudini e le tradizioni hanno lasciato il posto alla società del consumismo di stampo Occidentale. Il timore che si avvertiva dai timidi sorrisi nel cinema di Yasujiro Ozu è divenuto realtà. Ciò, oltre a influenzare e plasmare la società stessa, ha definito un tema molto delicato caro alla cinematografia del Sol Levante che ha dato così vita a filoni narrativi e generi, o sottogeneri, cinematografici. Si pensi al più conosciuto J-horror Ring di Hideo Nakata (1998) dove un virus si propaga all’interno delle mura domestiche vedendo una videocassetta o The Call – Non rispondere di Takashi Miike (2003) che invece presenta la trasmissione di un virus mortale rispondendo ad una telefonata ricevuta sul cellulare.
Il progresso tecnologico ha inoltre innescato un profondo mutamento dell’assetto architettonico nipponico, soprattutto all’interno delle grandi città, e il ferro, il vetro e il cemento hanno sostituito le delicate facciate lignee delle abitazioni tradizionali.
Se nella trilogia cyberpunk Tetsuo di Shinya Tsukamoto l’abuso della tecnologia si tramuta in una visione apocalittica sulla città stessa e sugli stessi uomini portando allo sgretolamento della materia, nella pellicola di Shinobu Yoaguchi assistiamo invece allo sgretolamento del tessuto familiare: non c’è dialogo tra genitori e figli in una Tokyo sovrastata da grattaceli illuminati, non c’è comunicazione tra esseri umani, perché di umano è rimasto ben poco.
Lo scenario potrebbe sembrare apocalittico, ed effettivamente lo è, perchè Yoaguchi ci presenta una città che da un momento all’altro non può più attingere a fonti energetiche e punta i riflettori sulla grottesca famiglia Suzuki, che dall’inspiegabile blackout generale trae insegnamento e lo fa perché architetta una fuga, rigorosamente in bicicletta, alla scoperta dei valori familiari di cui il Giappone sente la mancanza.
Non a caso i Suzuki lasciano Tokyo, ormai abbandonata a se stessa, per raggiungere il nonno che abita in un villaggio in riva al mare, a Kagoshima.
L’escamotage narrativo del blackout improvviso ci pone davanti alla difficoltà che l’essere umano incontra nel momento in cui gli vengono sottratti il progresso, la modernità e la dipendenza tecnologica. Yoaguchi ha però l’intento di farci sorridere e darci speranza, quindi, ripone nel nucleo familiare la forza della rinascita sbandierando il messaggio “se restiamo uniti ce la faremo” e regalandoci una preziosa fotografia di un Giappone che si domanda tuttora il valore di ciò che ha perduto negli anni, una commedia dai risvolti a volte scontati, ma pur sempre di piacevole conforto.
Tatiana Tascione
Survival Family
Regia e sceneggiatura: Shinobu Yaguchi. Fotografia: Takahito Kasai. Interpreti: Fumiyo Kohinata, Eri Fukatsu, Yuki Izumisawa, Wakana Aoi, Norika Fujiwara. Origine: Giappone, 2016. Durata: 120′.