Un riconoscimento era decisamente nell’aria per Vermiglio, il secondo lungometraggio di Maura Delpero, che ha ritirato il Leone d’argento – Gran premio della giuria all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. L’unico premio del concorso internazionale per l’Italia è stato attribuito al film decisamente migliore tra i cinque tricolori in lizza.
Siamo nel dicembre 1944 nell’innevato paese trentino della Val di Sole che dà il titolo. Al centro c’è la famiglia del maestro Graziadei (Tommaso Ragno) con i suoi nove figli, tra i quali un neonato di salute cagionevole. Il cugino Attilio torna dal fronte accompagnato dal siciliano Pietro che si ferma in paese e si innamora, ricambiato, di Lucia, la più grande dei figli. Nel gruppo familiare spiccano l’intraprendente Ada, che vorrebbe fare il prete, Dino, che studia poco, e Flavia, che è invece molto brava a scuola ed è destinata a scendere in collegio a Trento per proseguire gli studi. Intanto il più piccolo non supera la malattia e il freddo invernale e l’augurio che viene porto ai genitori è di averne presto un altro.
È un film d’altri tempi, su una società scomparsa e una civiltà quasi all’epilogo, Vermiglio, opera austera, anche aspra. Una storia corale, dall’atmosfera molto olmiana, sulla fine della guerra e la fine di un’epoca, sull’emancipazione femminile e un’Italia che si scopre nelle sue diversità. Delpero usa uno stile molto rigoroso, con inquadrature precise e quasi sempre fisse, per ritrarre la vita di un paese, con le sue difficoltà e i legami tra i suoi abitanti. Una pellicola che si distingue per la forza dell’insieme e la cura del dettaglio: dal maestro che ama la musica (spiega “Le stagioni” di Vivaldi) e la poesia, ai bambini che dormono nella stessa stanza, dividono i letti e, prima di addormentarsi, si chiedono e si raccontano le cose, anche da adulti, in modo molto fresco e credibile. Per la regista che aveva esordito con il poco visto Maternal, film non banale sulla maternità (tema che torna pure in Vermiglio), un bel salto di qualità. Forse manca un guizzo, ma è un buon film, compatto sotto tutti gli aspetti e ben recitato, elemento non scontato quando ci sono tanti personaggi, tanti ragazzini e si utilizza il dialetto. Una pellicola sempre credibile, che magari si prende i suoi tempi, ma non sa mai di artificio o presepe.
Nicola Falcinella
Frammenti da un mondo contadino
Il secondo film di finzione di Maura Delpero, realizzato a distanza di cinque anni da Maternal, che era stato premiato a Locarno, porta a casa un meritato ma per molti inaspettato Leone d’Argento. “È prevalso nel giudizio la componente poetica”, ha detto la presidente di giuria Isabelle Huppert, sintetizzando magnificamente ciò che ognuno di noi si è portato dentro uscendo dalla visione. A questo premio contribuisce non poco la misurata, seppur straordinaria, interpretazione di Tommaso Ragno, che la regista ci mostra ben diverso dai ruoli a cui siamo abituati, un ruolo tutto giocato in sottrazione che invece aggiunge tanto al film stesso e alla sua buona riuscita.
Il film parte sul finire della seconda guerra mondiale, mentre a valle ci sono ancora i tedeschi, con l’arrivo a Vermiglio di Attilio e dell’amico siciliano: forse hanno lasciato l’esercito dopo l’8 settembre o forse si sono sottratti alla Repubblica sociale.
Da questo arrivo inizia un film in cui la montagna è l’indiscussa protagonista, influenza in tutto i personaggi: dal modo di camminare, muoversi, di raggiungere la scuola, all’isolamento. Vermiglio racconta quattro stagioni nella vita di una grande famiglia piena di figli, è una storia di bambini e adulti, tra morti e nascite, delusioni e altrettante rinascite, del loro tenersi stretti nelle curve della vita, e da collettività farsi individui. Una storia d’alta quota, con i suoi muri di neve. Di odore di legna e latte caldo nelle mattine gelate. Con la guerra lontana e sempre presente, vissuta da chi è rimasto fuori dalla grande macchina: le madri che hanno guardato il mondo da una cucina, con i neonati morti per le coperte troppo corte, le donne che si sono tenute vedove, i contadini che hanno aspettato figli mai tornati, i maestri e i preti che hanno sostituito i padri. Una storia di guerra senza bombe, né grandi battaglie. Nella logica ferrea della montagna che ogni giorno ricorda all’uomo quanto sia piccolo.
Il film di Maura Delpero procede per allusioni, sottotesti e ellissi. Quello che importa alla regista non è la Storia, ma è la rappresentazione di un mondo fuori dalla Storia, depurato di ogni esplicito riferimento al presente, affondato in una dimensione arcaica e nel tempo del mito. Una comunità agricolo-pastorale alpina dove tutto sembra immutabile e eternamente uguale a sé stesso.
La regista trentina per prepararsi al film ha fatto un lungo lavoro documentaristico, con tante interviste che poi ha usato per scrivere la sceneggiatura. Si percepisce a fondo che la Delpero è una regista che parte dalla realtà, il film è girato in Trentino, quasi totalmente proprio a Vermiglio, un piccolo paesino della Val di Sole. Sono i luoghi del padre della regista e nel racconto c’è anche qualcosa di biografico, nei luoghi e nelle persone, il padre infatti racconta la Delpero aveva dieci fratelli, tutti più grandi di lui. Anche gli attori, a parte Ragno e pochissimi altri, sono tutti non professionisti e vengono da questi luoghi e portano nel film il loro reale vissuto.
Si comprende quindi che la narrazione del film è volutamente fragile, sono quasi solo frammenti che non vogliono diventare mai un vero affresco corale. È un cinema che ci restituisce un senso di immobilità e introversione. Forse manca qualche guizzo, come ha anche scritto Falcinella, ma è notevole la capacità di di restituire questo mondo lontano con i volti e le voci (grazie alla fortunata scelta del dialetto), i suoni (anche della natura), la frugalità e la povertà di un un universo contadino d’alta montagna.
Vermiglio sarà proiettato anche al Toronto Film Festival per poi arrivare nelle sale cinematografiche italiane il 19 settembre distribuito da Lucky Red. Ci auguriamo che raggiunga tutto il pubblico che meriterebbe.
Claudio Casazza – Maria Di Razza
Vermiglio
Regia e sceneggiatura: Maura Delpero. Fotografia: Mikhail Krichman. Montaggio: Gianluca Mattei. Musiche: Matteo Franceschini. Interpreti: Tommaso Ragno, Giuseppe De Domenico, Roberta Rovelli, Martina Scrinzi, Orietta Notari, Carlotta Gamba, Sara Serraiocco. Origine: Italia/Francia/Belgio, 2024. Durata: 119′.