Paterson, dove regna la poesia
Una cittadina del New Jersey di nome Paterson. Il conducente del bus 23 di nome Paterson. Non è una coincidenza, come non lo è che il loro nome dia il titolo al delizioso film di Jim Jarmusch, in concorso al Festival di Cannes 2016 e ora nelle sale. Un elogio della poesia delle piccole cose che si svolge e prende il titolo dalla città consacrata dal poema di uno dei grandi della poesia americana della prima metà del ‘900, il pediatra e letterato William Carlos Williams. Emerso negli anni ’20, amico di Ezra Pound e di molti artisti delle avanguardie, cantore della gente della città cui dedicò il poema Paterson e riferimento della beat generation (scrisse pure la prefazione a Urlo di Allen Ginsberg), si distinse per le poesie su situazioni di vita quotidiana.
Paterson (interpretato da Adam Driver) è sposato con Laura (Golshifteh Farahani), donna d’origine iraniana, creativa, alla moda e che passa quasi tutto il tempo in casa. Il protagonista non possiede un cellulare e vive di abitudini, un po’ in un tempo sospeso, demodè come la collezione di scatole di fiammiferi. La storia si svolge nell’arco di una settimana, da lunedì a lunedì, ed è fatta della dolcezza ipnotica dei risvegli mattutini, degli attraversamenti della città e della scrittura su un taccuino di poesie. Piccoli elementi, non le stravaganze o le ricerche o i viaggi di altri lavori di Jarmusch, che vanno a comporre un quadro di sfumature che contrasta con il bianco e nero con cui è fissata Laura, artista che ha arredato così la casa, che ordina pure una chitarra di quei colori, e che prepara cupcake bicromatici da vendere. Paterson è dal canto suo uno spirito semplice, legato indissolubilmente alla città che a volte gli sta stretta: paziente, attento, disponibile anche ad ascoltare il collega indiano che ha sempre qualche problema da esporre.
Nonostante i pochi avvenimenti, Jarmush, con il suo tocco magico, realizza un delizioso film in apparenza minimalista e sottovoce sull’amore, il lavoro, la quotidianità e le bizzarrie: ovvero, la poesia del quotidiano, le sorprese dell’amore, le bizzarrie della vita trattate con mano leggera dal regista di Dead Man (1995), nel quale il contabile in fuga nel nord, dopo un omicidio, si chiama William Blake come il poeta inglese che scrisse delle “porte della percezione”.
Un film di passaggi e ritorni sui luoghi – la stazione dei bus, i parchi, la cascata – e di brevi incontri che lasciano il segno, come l’improvviso imbattersi nella bambina che scrive poesie e ama Emily Dickinson. È un film di lievi sussulti e brevi accelerazioni del ritmo per poi sostare, fare un tragitto con qualcuno e poi salutarlo, magari ritrovarlo un altro giorno: Jarmusch guida la macchina da presa come se conducesse l’autobus, accetta il ritmo e ne trae tutti i risvolti positivi. Una pellicola di citazioni e memorie, dove compare tanta Italia: si parla di Dante e di Francesco Petrarca, si ricorda che da Peterson partì Gaetano Bresci (citato in un dialogo) per tornare a uccidere il re Umberto I e si omaggia l’attore d’origine italiana Lou Costello, cui sono dedicati una statua e un parco, più noto come l’indimenticabile Pinotto della coppia comica Gianni e Pinotto, costituita con Bud Abbott. Ancora il pugile Rubin Carter, l’Hurricane cantato da Bob Dylan, cresciuto nella città del New Jersey dove avvenne il triplice omicidio del quale fu ingiustamente accusato e che gli rovinò la carriera.
Le citazioni non appesantiscono mai il film, non ne fanno un’esibizione di sapere, ma costituiscono tante note che suonano insieme a tante altre annotazioni e arricchiscono di sensi e rimandi, una gioia per lo spettatore che accetta il gioco e si abbandona alle parole e ai gesti. Personaggio fondamentale risulta il cane Marvin, che ha un rapporto particolare con la cassetta della posta e accompagna il suo padrone a fare un giro tutte le sere e, insieme, sostare per una birra. In queste uscite frequentano il barista che colleziona foto di celebrità e della città e che gioca a scacchi da solo o gli avventori del bar, tra i quali un uomo che sta male per amore.
In una delle rare uscite, la coppia protagonista va al cinema a vedere un horror classico quanto non molto noto oggi, L’isola delle anime perdute – Island of lost souls (1932) di Erle C. Kenton con Charles Laughton e Bela Lugosi.
Nicola Falcinella
La vita in una scatola di fiammiferi Ohio Blue Trip
Un movimento ripetuto con leggere variazioni per tutta la partitura. Questo è Paterson. Il ritmo del respiro, un mantra. Un incedere in apparenza sempre uguale, senza sussulti, come a preservare uno spazio vitale che sfida la frenesia dei tempi, l’interconnessione informatica, i desideri lancinanti di tutto ciò che non si è ancora afferrato, la smania di fuga. Ed è anche una poesia in rima, nonostante i versi volino liberi dalla penna di Paterson sul suo taccuino e sullo schermo, che diventa pagina dove riarrangiare un’intuizione e dargli compiutezza.
Abbiamo molti fiammiferi in casa nostra
Li teniamo a portata di mano, sempre
Attualmente la nostra marca preferita è Ohio Blue Trip
E poi l’atto poetico si precisa nella discreta osservazione delle cose, semplici, occasionali e quotidiane al tempo stesso, altre variazioni delicate, liberamente tratte dalle vite degli altri. Paterson guida l’autobus e dal retrovisore guarda Paterson, la città e i suoi abitanti, le numerose coppie di gemelli (uguali solo per chi non sa osservare), nell’attesa paziente del ritorno a casa, quasi identico ogni giorno, per baciare Laura che dipinge forme bianche e nere quasi identiche tra loro, per sedere di fronte al cane Marvin con un ghigno quasi identico ogni sera e poi cenare e poi trascorrere del tempo al bar con persone (tutti afroamericani) afflitte dalle solite identiche frustrazioni. I versi fluiscono invisibili e si accomodano sulle pagine bianche, al mattino l’ispirazione appena prima di partire per le vie della città; la sera la definizione in un piccolo stanzino.
Ecco il più bel fiammifero del mondo
Il suo stelo di tre centimetri e mezzo in legno di pino
Sormontato da una testa granulosa viola scuro
Così sobrio e furioso e caparbiamente pronto
A esplodere in fiamme
Per accendere, magari, la sigaretta della donna che ami
Per la prima volta
E che dopo non sarà mai più davvero lo stesso
Jarmusch si inventa Paterson che vive a Paterson, e che di Paterson sembra portare con sé i ritmi ma anche il fluire delle cascate del fiume Pendraic, e certamente l’inclinazione alla poesia, su tutti il nome di William Carlos Williams.
Poeta non a tempo perso, ma nella piena pratica della vita, chiedendo in prestito i versi a Ron Padgett, l’uomo Paterson è incarnazione del cinema di Jarmusch che da sempre vive sui dettagli del quotidiano strappati alla banalità. La poesia germoglia dalle piccole cose, ma fuori dalla logora retorica delle piccole cose, semmai dalla sensibilità, o meglio dallo sguardo divergente, dello scrittore-autista, che come Patrarca ha in Laura una musa ispiratrice, la gemella che sa distillare la linfa vitale, luciferina quando l’esistenza pare destinata a subire l’ombra insistente della solitudine.
Tutto questo noi vi daremo
Questo è ciò che tu hai dato a me
Io divento la sigaretta e tu il fiammifero,
O io il fiammifero e tu la sigaretta,
Risplendente di baci che si stemperano nel cielo
Vorrei provarlo un Ohio Blue Trip in legno di pino, il calore della sua fiamma, quando si accende nel buio di giornate senza sussulti, per tramutarle in oasi di quiete, dove poter comprendere la vita nella reiterazione di un gesto amorevole, fino a scacciare la sgradevole sensazione di incompiutezza che coglie sempre impreparati. Paterson e Laura, abbracciati a letto, ripresi otto volte dall’alto per otto mattine, poco dopo le sei, all’alba di un nuovo giorno. Semplicemente: un motivo per alzarsi e raccontarsi in versi.
La vita è un gioco di equilibrismo alla ricerca di senso – suggerisce da sempre Jarmusch. Ma in attesa della verità, converrebbe forse non perdere di vista il proprio centro gravitazionale per trasformare ogni giorno in opportunità. Una questione di rapporto tra il proprio spazio e il proprio tempo. Ripenso a un’altra poesia composta da Paterson/Padgett via Jarmusch: Un’altra.
Quando sei un bambino impari che ci sono tre dimensioni
Altezza, larghezza e profondità
Come una scatola da scarpe
Più tardi capisci che c’è una quarta dimensione
Il tempo
Hmm
Poi alcuni dicono che forse ce ne sono cinque, sei, sette…
Stacco dal lavoro
Mi faccio una birra al bar
Guardo il bicchiere e mi sento contento
(da Poesia d’amore e Un’altra di Ron Padgett)
Alessandro Leone
Paterson
Sceneggiatura e regia: Jim Jarmusch. Fotografia: Frederick Elmes. Montaggio: Affonso Gonçalves. Musiche: Sqürl. Interpreti: Adam Driver, Golshifteh Farahani, Barry Shabaka Henley, William Jakson Harper, Masatoshi Nagase. Origine: Usa, 2016. Durata: 117′.