Dalle parti del capolavoro
1961. Il ventenne Robert arriva a New York in autostop dal natale Minnesota con il mito di Woody Guthrie e il sogno di diventare un musicista. Appreso dai giornali che il suo idolo è ricoverato in ospedale, il giovane lo va a visitare, trovandolo in compagnia Pete Seeger, altro cantante folk che lo prende sotto la propria ala protettrice e lo introduce nel fervido ambiente artistico della metropoli.
Inizia così, rapido e chiaro, A Complete Unknown di James Mangold, né ritratto né biografia di Bob Dylan, bensì un film molto aderente al divo antidivo che ha cambiato la musica, ispirato dal libro Dylan Goes Electric! di Elijah Wald. Il racconto di quattro anni incredibili fino al 1965, alla svolta elettrica del cantautore e alle contestazioni subite al Festival di Newport, quando il suo cambiamento fu percepito come un tradimento al mondo cui apparteneva. Una pellicola dalle parti del capolavoro che riesce nell’impresa che pareva impossibile, a partire dalla sceneggiatura approvata dallo stesso musicista premio Nobel all’interpretazione impressionante di Timothée Chalamet.
Il bravissimo attore di Chiamami col tuo nome, Wonka e Dune si supera, cantando, suonando e incarnando un personaggio che è quasi il suo alter ego: divenuto celebre in fretta, sottoposto a infinite pressioni e bisognoso di libertà. Il titolo “un completo sconosciuto” è un verso della celebre Like a Rolling Stone, canzone manifesto del passaggio al rock, e ha una duplice valenza: il giovane Bob arriva da perfetto sconosciuto e continua a restarlo, tanto influente e sotto gli occhi di tutti, quanto enigmatico e inafferrabile. L’inafferrabilità è il punto del film, insieme al passaggio dal folk acustico all’elettrico. Se Todd Haines nel bellissimo Io non sono qui (2007) aveva moltiplicato i Dylan, affidandoli a sei attori diversi (compresa Cate Blanchett), facendone quasi un film sperimentale, Mangold gli dà una confezione classicissima: non usa flash-back, non alterna colore e bianco e nero, non usa espedienti, non si direbbe un film del 2025. Nella pellicola Dylan si nasconde spesso dietro gli occhiali scuri, è sempre pronto ad allontanarsi in moto e rifiuta di peso di cantare Blowin’ in the Wind in ogni concerto per tutta la vita. È sullo schermo con la sua presenza magnetica, lo spirito affascinante e sfuggente, la forza della voce inconfondibile e un talento che sfugge da tutte le parti. Solo una volta, in A Complete Unknown, si vede Dylan alzarsi dal letto di notte per scrivere un testo e, insoddisfatto, rivederlo e limarlo, per il resto non c’è bisogno di mostrare l’atto creativo, tanto tutto in quegli anni è veloce e inarrestabile, spinto da un destino più grande.
Si arriva a Newport ‘65 dove, nonostante le pressioni dell’organizzatore fedele al folk tradizionale Allan e dello stesso Seeger (“tu vendi candele, mentre Bob vende lampadine” gli dice seccamente il manager Albert Grossman), esegue Maggie’s Farm che attacca con la dichiarazione d’intenti “Non lavorerò più nella fattoria di Maggie”.
Mangold, che si era già cimentato nella biografia di un grande musicista con Quando l’amore brucia l’anima su Johnny Cash (presente qui con il volto di Boyd Holbrook), restituisce un Dylan che convince i dylaniani e parla a chi lo conosce poco o nulla, rievocando un’America che non c’è più, con uno sguardo all’oggi. È il sogno di un ragazzo e di un Paese, di una generazione di politici e attivisti per i diritti civili e di musicisti che volevano cambiare la società (sullo sfondo ci sono gli eventi cruciali del tempo, come la crisi della Baia dei porci o l’assassinio di JFK) con la voce e la chitarra (un ruolo cruciale lo riveste Joan Baez, interpretata dall’ottima Monica Barbaro, vista in Top Gun: Maverick e sempre più convincente). È soprattutto una storia di libertà, anche di non dover assecondare quello che gli altri si aspettano. Il menestrello del Minnesota (esistono diversi documentari imperdibili su di lui, da Pennebaker a Scorsese) è sempre stato fedele a sé stesso e Mangold, lontano dall’agiografia, gli rende un omaggio straordinario, sentito ed emozionante. Un film all’altezza di Bob Dylan.
Nicola Falcinella
La vita del ribelle cantautore del Minnesota in un film che di ribelle ha ben poco
Il nuovo biopic su Bob Dylan, che vede protagonista Timothée Chalamet, brillante più che mai, è un grande omaggio a uno dei cantautori più influenti della storia della musica, nonché un perfetto trampolino di lancio per la nomination del giovane attore alla shortlist dell’Academy, e poco di più. Risulta immediato, a tal proposito, il paragone con il mediocre Bohemian Rapsody (2018, Bryan Singer) che vede protagonista un ottimo Rami Malek, interpretazione che gli valse la vittoria della statuetta per la miglior interpretazione maschile.
A Complete Unknown, scritto e diretto da James Mangold (qui al suo secondo esperimento sui grandi cantautori americani – nel 2005 diresse Walk the Line, sulla vita di Johnny Cash), è il classico film da guardare al cinema, uscendone soddisfatti e con la voglia di rispolverare The Freewheelin’ Bob Dylan dal tuo cassetto dei vinili – o da quello dei tuoi genitori – e far partire il giradischi a tutto volume. Uno di quei film sui grandi, fatto da grandi, che celebra le gesta di uno degli uomini più influenti dello scorso secolo cercando di avvicinare le nuove generazioni, con un cast azzeccatissimo, e portando non poca malinconia a quelle più vecchie. Un’operazione lunga cinque anni, senza dubbio ben riuscita, ma dalla resa, a conti fatti, un po’ insipida: A Complete Unknown sa di già visto, un film troppo classico per raccontare la vita di uno degli artisti più anticonvenzionali degli ultimi anni (si veda, a tal proposito, il bellissimo Io non sono qui, Todd Haynes, che di racconti fuori dagli schemi sul cantautore più fuori dagli schemi del Minnesota ne sa qualcosa). E purtroppo, anche la natura anticonformista e ribelle del protagonista non emerge: Chalamet è perfetto per il ruolo di Dylan, spesso spaventa da quanto ci somigli, nei gesti, nelle espressioni, nella voce, ma non c’è nient’altro, non si può andare oltre la patina edulcorata di questo racconto e non si può glorificare un film solo per alcune interpretazioni ben riuscite – a tal proposito, ricordiamo il ruolo di Boyd Holbrook, nei panni di un giovane Johnny Cash, affascinato dalla musica del ragazzo – soprattutto se è un’opera che non osa in alcun modo, al contrario dell’artista che vorrebbe a raccontare.
Un altro problema di A Complete Unknown riguarda la scrittura del personaggio di Sylvie Russo (nome inventato, la corrispondente reale sarebbe Suze Rotolo), interpretato da Elle Fanning. Suze (o Sylvie) è stata uno dei grandi e veri amori del cantante, una figura fondamentale per la sua formazione musicale, artistica, culturale, sentimentale, nonché politica e di personaggio pubblico engagé. Purtroppo, in questo film, Suze viene dipinta come una figura totalmente passiva e in completa balia degli altalenamenti lunatici di Dylan, un personaggio assolutamente soggiogato dei desideri dell’altro, durante e al termine della loro relazione. Bob è infatti dipinto come uno sciupa femmine di prima categoria: narcisista, egoriferito e strafottente, meschino e incurante nei confronti delle donne che lo circondano, credendole a sua completa disposizione. A parte un’iniziale accenno alla vita di Suze, precedente al loro incontro, la storia prosegue dimenticandola, usandola come strumento alla mercè del protagonista e della narrazione, infine “emancipandola” in una sequenza piuttosto prevedibile ed evitabile. Tutt’altro trattamento è stato invece riservato al personaggio di Joan Baez (Monica Barbaro, anche lei perfetta nei panni della cantautrice americana), presentata e approfondita come una donna forte, indipendente, che si fa largo da sola – e con successo – in un’industria musicale fatta di soli uomini.
La musica è giustamente onnipresente e preponderante all’interno di questo biopic, la speranza è quella che il pubblico possa uscire dalle sale cinematografiche nostalgico, incuriosito o affascinato dalla penna di Bob Dylan perché, nonostante i difetti di forma e di scrittura, A Complete Unknown è un film assolutamente godibile, per il quale vale la pena andare al cinema, se non altro per l’esperienza musicale che regala.
Gaia Antonini
A Complete Unknown
Regia: James Mangold. Sceneggiatura: James Mangold e Jay Cocks. Fotografia: Phedon Papamichael. Montaggio: Andrew Buckland e Scott Morris. Interpreti: Timothée Chalamet, Edward Norton, Monica Barbaro, Elle Fanning, Boyd Holbrook. Origine: USA, 2024. Durata: 141′.