Non sapremmo dire quando sia successo. Non si sa come, perché, ma è successo. E ormai è così, è assodato, è legge. Tacita ma imperante. In questo paese che ha prodotto tra i più grandi comici della storia del cinema, oggi, ma non solo da oggi, si direbbe da un po’ ormai, solo la “C” di commedia fa storcere il naso. A meno che non sia francese, perché che qualcosa sia francese è sempre garanzia di qualità, per quell’intellighenzia cresciuta a pane e Deleuze che si è ormai abituata a non capire, ma a pensare che dietro l’incomprensibile stia il genio. O a meno che non si tratti di un’opera di Woody Allen, perché l’autorevolezza di un maestro, ma anche solo di un nome, non può essere messa in discussione, mai.
Ma se si tratta di commedia italiana, ecco, in questo caso vedremo una fila di nasi arricciati, sguardi infastiditi, sorrisi forzati a compiacere il plebeo che (orrore!) ride. Certo, una ragione c’è, e nemmeno tanto astrusa. A furia di cinepanettoni e quant’altro, a furia di volgarità fattasi abitudine e diventata ormai anche un po’ noiosa, a furia di commediole un po’ romantiche e un po’ buoniste, che a mala pena ti strappano mezzo sorriso, ma che poi in sostanza te le confondi tutte, ecco, sì, in effetti la commedia italiana si può dire abbia subito un terribile, vertiginoso tracollo. E, come spesso capita, si fa di ogni erba un fascio.
Così, se mai per caso ti fosse venuto in mente di andare a vedere l’ultimo film di Gennaro Nunziante con Checco Zalone, ecco che ti ritroverai a sgomitare alla biglietteria con un’orda barbarica di quattordicenni, autorizzati dall’età ad apprezzare l’ennesima trashata cinematografica, con qualche zotico autentico, di quelli che per i cinepanettoni vanno pazzi per davvero, più qualche sparuto esemplare di persona normale che, visibilmente imbarazzata, ci tiene a precisare ad alta voce che “io questi film non li vedo mai, sia chiaro, sono solo curioso di vedere di cosa si tratta, dato che ne hanno parlato tanto”.
In effetti sembra ormai deciso che il cinema di livello debba per forza far male, turbare, intristire, angosciare, oppure, ancor meglio (e qui rifà capolino l’eredità francese) essere tendenzialmente incomprensibile, criptico, ellittico, cervellotico, enigmatico, metaforico, e chi più ne ha più ne metta. Per fortuna, possiamo annunciarlo con gioia e forse addirittura con un pizzico di emozione, non è così! E Sole a catinelle ce lo dimostra. Non che sia un film geniale, non che sia un film eccezionale, ma di certo è un film eccezionalmente onesto e per nulla ingenuo. E, dobbiamo ammetterlo, ci fa ridere, e anche tanto. E se far ridere non è semplice, anche ridere non lo è. Specialmente se si tratta di ridere di noi stessi. Zalone ci propone infatti, per la terza volta sugli schermi e forse col risultato meglio riuscito della sua carriera di attore e sceneggiatore, un vero e proprio scorcio sull’Italia in crisi, uno scorcio su tutte quelle cose che, in un modo o nell’altro, fanno oggi il nostro paese e la figura archetipica dell’italiano medio, dell’uomo senza qualità.
Ma allora è vero che solo i film seri possono essere impegnati? Pare proprio di no. Anzi, va detto, prendersi troppo sul serio può essere pericoloso. E Checco ce lo dimostra, irridendo un mondo fatto di nouvelle couisine, di yoga, di veganismo, di golf clubs, di champagne, di massoneria, di raccolte fondi per i bambini africani, di buon gusto, di buone maniere, di opportunità. Giù la maschera dunque, bando agli snobismi intellettualoidi, bando ad imbarazzi e sorrisi trattenuti! Godiamoci lo spettacolo e ricordiamoci che ridere non è una colpa, né qualcosa che non sta bene, basta sapere perché si sta ridendo.
Monica Cristini
Sole a catinelle
Regia: Gennaro Nunziante. Soggetto: Gennaro Nunziante e Checco Zalone. Sceneggiatura: Gennaro Nunziante e Checco Zalone. Produttore: Pietro Valsecchi. Musiche: Checco Zalone. Montaggio: Pietro Morana. Attori: Checco Zalone, Aurore Erguy, Robert Dancs, Miriam Dalmazio. Origine: Italia, 2013. Durata: 90 min.