Tratto dal romanzo autobiografico di Amos Oz Una storia di amore e di tenebra, Sognare è vivere (A Tale of Love and Darkness) rappresenta il debutto alla regia di Natalie Portman. La pellicola, presentata fuori concorso al Festival di Cannes 2015, narra la vicenda della famiglia del piccolo Amos (Amir Tessler) a Gerusalemme a partire dal 1945, passando per la proclamazione dello Stato di Israele, la fine del mandato britannico e l’inizio della guerra di indipendenza, per giungere fino al 1953, quando il futuro scrittore si è trasferito a vivere in un Kibbutz. Intrecciata ai fatti storici, la voce narrante dell’Amos di oggi (interpretato da Amex Pelag) ricostruisce il periodo della sua infanzia vissuta con il padre Arieh (Gilad Kahana) e la madre Fania (Natalie Portman). Ma è in particolare il rapporto con la madre a emergere in primo piano, come dice la regista: «La cosa che mi ha veramente commosso nel libro è che un uomo a quell’età in cui potrebbe essere il padre di sua madre, guarda il passato con simpatia e comprensione, come se fosse uno sguardo paterno su quella che è stata la propria madre. È uno strano punto di vista». È Fania, in fondo, la vera protagonista del film, la giovane donna cresciuta nel mito e nell’idealizzazione di Israele che fugge da Rovno in seguito alle persecuzioni naziste per poi incontrare in Palestina una realtà molto diversa da quella desiderata. Una donna romantica e sognatrice, che racconta storie di avventure al piccolo Amos per sfuggire alle tante ombre del momento storico e all’infelicità della sua vita coniugale. Un’infelicità che la condurrà nel baratro sempre più scuro della depressione e, poi, della morte.
Con la fotografia dal forte carattere onirico di Slawomir Idziak e un montaggio che segue il flusso dei ricordi dell’anziano Amos, il film vorrebbe condurci all’interno di quel baratro di disperazione per cercare di comprendere il momento e le circostanze in cui l’esistenza di Fania cominciò a svuotarsi e il mondo a perdere di senso. Vorrebbe, ma l’operazione non convince appieno. Perché in fondo è necessaria una voce narrante per spiegare ciò che le immagini non spiegano. Quella stessa voce fondamentale anche per dare spessore a dei personaggi che altrimenti rimarrebbero sostanzialmente piatti, evanescenti come le fantasie e i sogni della protagonista. E il film, da un certo punto in avanti, non fa altro che girare su se stesso, in un continuo vorticare a vuoto attorno a un baricentro fatto di nulla: ovvero la depressione della madre dello scrittore, l’evento che spacca il racconto e che però ci viene solo mostrato senza essere dimostrato, essendo imposto per necessità senza che lo spettatore possa comprendere, capire, sentire insieme al personaggio. Natalie Portman paga forse un po’ di inesperienza, lei che non ha solo diretto ma anche firmato la sceneggiatura del film. E, paradossalmente, è proprio la Portman attrice a brillare a discapito della Portman regista. Si ha quasi l’impressione che i produttori abbiano puntato tutto sulla presenza della star all’interno del cast. Non è un caso, infatti, che la Portman sia stata praticamente costretta a recitare per ottenere i finanziamenti necessari per la realizzazione del film.
Ma se è probabile che la sua partecipazione ripagherà qualcosa in termini di botteghino, è anche vero che la diva finisce per fare terra bruciata attorno a sé, sacrificando al suo cospetto la sostanza di un intreccio solido e di personaggi ben delineati. Del resto si tratta di una presenza non facile da gestire per una regista esordiente come lei.
Michele Conchedda
Sognare è vivere
Sceneggiatura e regia: Natalie Portman. Fotografia: Slawomir Idziak. Montaggio: Andrew Mondshein. Interpreti: Natalie Portman, Gilad Kahana, Amir Tessler, Ohad Knoller, Makram Khoury, Shira Haas. Origine: USA, 2015. Durata: 98′.