(Ba)Sin City, la città del peccato. Uno spazio fuori dallo spazio in un tempo che è un punto costantemente in non divenire. Siamo in un mondo in bianco e nero, fatto di fondali dipinti, palazzi disegnati, quartieri periferici su cui risplendono soltanto le insegne colorate dei night club e le pelli diafane di qualche meretrice casualmente incontrata in un locale malfamato. Siamo nella conurbazione del gioco d’azzardo, di colossali buttafuori che spaccano tutto ciò su cui posano le mani nerborute, detective trench e cappellacci anni quaranta dalla lacrimuccia facile e il cuore debole, vendicatori improvvisati, puttane armate di lanciafiamme e inseguimenti a bordo di straordinarie automobili d’epoca. Sin City è una città così putrida che qualsiasi cosa ne venga toccata finisce per marcire e corrompersi: in una notte di follia, sesso e sangue, le storie di diversi personaggi si incontrano e si scontrano. Marv (Mickey Rourke) è un colosso brutto, prognato e spigoloso che se ne va a zonzo per la suburra della metropoli fino a quando non fa amicizia con Dwight (Josh Brolin), investigatore privato come da tradizione che, assoldato da una terribile fiamma del passato (Eva Green) per ucciderne il marito, si lascia coinvolgere in un gioco più grande di lui; un ragazzotto della borghesia bene (Joseph Gordon-Levitt) sfida al poker il pericoloso senatore Rourke (Powers Boothe), ricavandoci una gamba impallinata e tutte le dita della mano rotte; la stripper Nancy Callahan (Jessica Alba) decide di vendicare l’unico uomo che abbia mai amato (Bruce Willis, morto nel primo film e che qui ritorna come fantasma) uccidendo il senatore Rourke e facendosi aiutare dal baldanzoso Marv.
Ci siamo chiesti un po’ tutti perché siano passati ben nove anni dalla realizzazione del primo Sin City, a quali difficoltà produttive il suo regista Robert Rodriguez sia andato incontro, con quali teste calde si sia dovuto scontrare pur di mandare in porto l’operazione, e quali risultati interessanti sarebbero usciti dal rinnovato connubio con il fumettista Frank Miller. Insomma, l’aspettativa era alta, anzi altissima, tifavamo tutti per il duo, volevamo un Sin City all’altezza del predecessore, forse persino migliore. Dopo un’attesa tanto lunga, Rodriguez non avrebbe certo potuto deludere lo zoccolo duro di fan che, nonostante le avversità, hanno sempre creduto in lui. Invece no, nel modo più assoluto. D’accordo, Sin City – Una donna per cui uccidere non sarà così brutto come hanno tentato di dipingerlo dall’altra parte dell’Atlantico, ma se il primo capitolo era una detonazione concettuale nello stitico panorama degli adattamenti fumettistici, questo è più simile a una scoreggina intimidita, una di quelle che ti lasci scappare in ascensore nella speranza che nessuno se ne accorga. Niente virtuosismi stilistici, se non quelli dell’originale, qui riproposti, svuotati di senso, assemblati giusto per scopiazzare un’estetica che già è diventata maniera; nessun lavoro veramente originale sulla dialettica delle inquadrature, adesso concepite come normali inquadrature e non più come traduzioni cinematografiche di vignette fumettistiche.
Tutto ciò di cui dobbiamo accontentarci è una pellicola che dimostra l’età che dichiara, un calco pedissequo senza lode e senza infamia, simpatica ma costantemente a rischio di noia. Il bianco e nero è sempre bianco e nero, gli scenari sono gli stessi del primo film, il colore ha una funzione “deittica”, per dirla con quelli che parlano difficile, che non aggiunge niente al personaggio di quanto già non si sapeva: gli occhi di Rourke si iniettano di sangue, quelli della femme fatale Eva Green si tingono di blu, un poliziotto innamoratosi perdutamente della donna uccide un collega e poi si spara alla testa. Il sangue è rosso, ma le motivazioni sfuggono, come le vicende, macchinose, sbrindellate, attaccate tra loro in una notte di alcol e bagordi: perché Mickey Rourke aiuta tutti senza ricavarci un ragno dal buco? E per quale ragione due di queste storie non sono altro che la riproposizione dello stesso tema? L’assalto alla tenuta della Green è identica alla presa di villa Rourke: sparatorie, teste mozzate, ancora sparatorie. Già, ci sono anche le tette della Green. Bello vero? Sono pure in 3D. Sembra che questo Sin City – Una donna per cui uccidere punti solo all’abbuffata, come dire, mi chiamo Robert Rodriguez, ho fatto un sacco di soldi e adesso mi diverto a prendervi tutti per i fondelli. Un po’ come fece a suo tempo l’amico Tarantino con Deathproof. Qualcuno se l’era fatto piacere per forza di cose, e molti si faranno piacere anche questo ulteriore adattamento di Miller.
Marco Marchetti
Sin City – Una donna per cui uccidere
Titolo originale: Frank Miller’s Sin City: A Dame to Kill for. Regia: Robert Rodriguez, Frank Miller. Soggetto e sceneggiatura: Frank Miller. Fotografia: Robert Rodriguez. Montaggio: Robert Rodriguez. Musica: Robert Rodriguez, Carl Thiel. Interpreti: Jessica Alba, Mickey Rourke, Eva Green, Joshn Brolin, Joseph Gordon-Levitt, Powers Boothe, Bruce Willis. Origine: USA, 2014. Durata: 102′.