Si è chiusa sabato 12 ottobre la 32ma edizione del Silent Film Festival di Pordenone, manifestazione che dal 1982 mette in scena la magia del cinema muto con accompagnamento musicale dal vivo e che richiama, oltre ad un folto pubblico di appassionati, numerosi storici e studiosi dal tutto il mondo.
Come al solito, tante le sezioni: il cinema delle origini e i film riscoperti e restaurati sono i “padroni di casa”, il corpo centrale di un programma che dedica spazio ai ritratti, alle rarità italiane, alle rivisitazioni linguistiche del cinema muto del XXI secolo. Poi i focus (quest’anno l’Ucraina e l’animazione messicana) e diverse altre sorprese, gioielli dimenticati e riportati in vita, immagini sbiadite che tornano a brillare sullo schermo, nonostante gli importanti tagli al budget denunciati dal comitato organizzativo. Basti pensare all’inedito ed incompiuto di Orson Welles Too much Johnson (1938), le cui pellicole sono state incredibilmente ritrovate proprio a Pordenone e che può essere considerato come la prima esperienza dietro alla macchina dal presa del regista all’epoca ventitreenne. Concepito come un film muto, e proiettato quindi a meno di 24 fotogrammi al secondo, si rifà alle comiche di Sennet e Lloyd. E’ stato presentato in anteprima mondiale nella versione integrale, senza interventi di postproduzione, svelando retroscena e curiosità sulle locations, e con un commento dal vivo che ne ha fornito chiavi di lettura sulle scelte registiche.
Protagonista femminile di quest’anno è stata Anny Ondra, autentica star europea di origine ceca, famosa anche per aver incarnato la prima bionda dell’immaginario hichcockiano in The Blackmail (1929). Il festival l’ha omaggiata con un’ampia raccolta di titoli che hanno messo in risalto l’estrema versatilità di questa attrice talentuosa. In Příchozí z Temnot – Colui che viene dalle tenebre (1921), una curiosa pellicola ispirata ad uno dei primi romanzi di fantascienza cechi e vicina ai modelli estetici tedeschi dello stesso periodo, la vediamo interpretare la donna amata dal protagonista. Toltosi la vita alla fine del XVI secolo, Jesek Drazický si risveglia nell’epoca contemporanea grazie all’elisir di lunga vita, ritrovando nella moglie del suo salvatore le stesse fattezze dell’oggetto del suo amore.
Per la sezione Labbra sigillate: il cinema svedese 1925-1929 sono stati riportati alla luce, anche grazie a recenti restauri, titoli dimenticati della produzione svedese tra cui quattro pellicole di respiro internazionale di Gustaf Molander (già collaboratore di Sjöström e di Stiller), come i raffinati e brillanti Hans Engelska Fru – La moglie inglese (1927) e Synd – Peccato (1928).
La Deutsche Kinemathek, nell’anno del suo 50mo anniversario, ha presentato Gli “Ultimi” di Gerhard Lamprecht. Grande collezionista di film, Lamprecht dedicò diverse pellicole alla sua città natale, Berlino, raccontando con spirito documentaristico storie di sofferenza umana, nell’intento di rendere partecipe il pubblico del dolore dei protagonisti. Ebbe sempre uno sguardo particolare sull’infanzia, come emerge anche in Die verrufenen (Der fünfte stand) – I malfamati (Il quinto livello) del ’25, attraverso scene grottesche ma nel contempo ironiche sulle disperate situazioni dei bambini indigenti, costretti a giocare con cadaveri di topi ed immondizia. E’ proprio grazie al suo archivio storico che prese vita la Deutsche Kinemathek.
All’interno della sezione Cartoni animati sovietici sono stati presentati numerosi esempi di film d’animazione prodotti tra gli anni ’20 e ’30 a Mosca ed a Leningrado, ma anche alcune rarità prodotte a Kiev, in Azerbaijan e Georgia. Diversi gli stili: dal “passo uno”, alle marionette di carta, al rotoscopio – in qualche caso combinati tra loro – e diversi i contenuti, passando dalla propaganda e dalla didattica al messaggio commerciale. Accanto alla satira politica di Mezhplanetnaya Revoliutsiya – La rivoluzione interplanetaria (1924), all’approccio agit-prop e anti-religioso di Nash otvet Papam rimskim – La nostra risposta ai Papi (1930) erano presenti racconti edificanti per l’infanzia, come Samoyedskii malchik – Il ragazzo samoiedo (1928) o Pochta – La posta (1929), ma anche interessanti testimonianze dell’influenza della coeva produzione americana. In Pokhozhdeniya Miunchgauzena – Le avventure di Münchhausen (1929), ad esempio, il regista Ivan Ivanov-Vano abbandona completamente il linguaggio russo a favore dello stile di Max Fleischer e Disney, a cui apertamente si ispira. Un altro interessante esempio di sguardo verso l’occidente è Odna iz mnogikh – Una fra le tante (1927), che combina tecniche di animazione con riprese dal vero. La storia prendeva spunto dalla tournée che Mary Pickford e Douglas Fairbanks fecero in Unione Sovietica nel 1926, utilizzando del materiale girato proprio durante la visita a Mosca. I divi americani si trasformano in disegni animati ed assieme ai colleghi Chaplin, Lloyd e Keaton accompagnano la protagonista ad Hollywood, in un sogno che ben presto assumerà i toni di un viaggio divertente ma allucinato e poco piacevole, dalla quale la protagonista si risveglierà con sollievo, nella sua cameretta (e nella sua patria).
Per restare nell’ambito dell’animazione, non si possono non citare i due momenti di apertura e chiusura di ogni giornata: un episodio di Felix the Cat di Otto Messmer, che ha accolto il pubblico tutte le mattine, ed uno di Ko-Ko the Clown dei fratelli Fleischer, che lo salutava la sera.
Per ulteriori approfondimenti rimandiamo al bellissimo catalogo pubblicato in formato pdf alla pagina: http://www.cinetecadelfriuli.org/gcm/allegati/GCM13_Catalogo_WEB.pdf
Sabrina Luoni