Aveva affondato il suo sguardo nelle vergogne italiane. Aveva inaugurato il primo cinema d’inchiesta in una stagione tra le più controverse della nostra storia recente. Francesco Rosi è morto a Roma all’età di novantadue anni. Nato a Napoli, era arrivato al cinema, passando dal teatro, sui set di Visconti, poi Antonioni e Monicelli. Da sceneggiatore passa alla regia nel 1956 (in realtà una co-regia) e realizza il suo primo lungo, La sfida, due anni più tardi. Nel 1959 dirige Sordi ne I magliari, storia di un immigrato in Germania che finirà nel giro della malavita organizzata, senza avere le “qualità” del farabutto. Sono gli anni ’60 che lo consacrano come regista d’inchiesta. Con Salvatore Giuliano (Orso d’Argento a Berlino) firma il suo primo capolavoro, raccontando la vita e la morte del bandito frammentando la narrazione con una serie di flashback che rinunciano a qualsiasi linearità. Lavoro di grande impatto visivo, Salvatore Giuliano apre una finestra coraggiosa su un episodio ancora non chiarissimo. Sfida in seguito gli entusiasmi del boom girando Le mani sulla città, rivelando il lato oscuro della crescita veloce delle nostre metropoli. Per il ruolo principale del costruttore, Rosi chiama lo straordinario Rod Steiger. Il film deflagra al festival del cinema di Venezia, vince il Leone d’Oro e semina dubbi sugli inquinamenti mafiosi negli appalti e i legami con apparati statali. E’ solo il 1963!! Non sono ancora nati i cineclub, i dibattiti si scatenano fuori dai circuiti referenziali.
Una virata su toni meno cupi (C’era una volta) per tornare all’impegno civile con Uomini contro e soprattutto con Il caso Mattei (che esce nel 1972 e gli vale la Palma d’Oro a Cannes), straordinaria ricostruzione della morte, avvolta nel mistero, del presidente dell’Eni. E’ l’inizio del sodalizio con Gian Maria Volontè, che interpreterà in seguito il boss Lucky Luciano. La scommessa di Rosi è rendere visibile ciò che è opaco. In Cadaveri eccellenti dirige un altro gigante del cinema europeo, l’apprezzato Max von Sydow.
Negli anni ’80 ancora riconoscimenti: Tre fratelli vince un Nastro e un David. Poi Cronaca di una morte annunciata, il David alla carriera e, nel 1990, Dimenticare Palermo, con uno straordinario cast internazionale, a dimostrazione che Rosi non solo seppe guardare con occhio a volte cinico alle trasformazioni dell’Italia, ma che riuscì a farlo dirigendo splendidamente gli attori, scovando nei suoi interpreti le qualità migliori, messe sempre a servizio dei personaggi. La sua ultima opera, La tregua, è del 1997, un film non perfetto, riuscito solo in parte, anticamera al ritorno al teatro, che aveva segnato i primi passi nel mondo dello spettacolo. Il L’Orso d’Oro e poi Leone d’Oro alla carriera risulteranno quasi superflui. La storia del suo cinema era già entrata di fatto nella Storia del Cinema.
A.L.