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Si è fermato il cuore di Resnais

Te lo aspetti che a novantuno anni un uomo si spenga. Ogni giorno è quello buono. Ma se quell’uomo ha appena vinto l’ultimo di una serie di premi internazionali al Festival di Berlino 2014, ti immagini che il vigore alimenti ancora il corpo stanco. Manoel de Oliveira ne ha 105 e il suo ultimo film èresnais sul set di L'anno scorso a Marienbad del 2012. Li pensi innaturalmente eterni questi personaggi, come pensi sia eterno un padre quando sei bambino. Alain Resnais papà lo è stato per tanti registi francesi, già ispiratore della Nouvelle Vague alla fine degli anni ’50 (pur non aderendovi mai) con il suo primo meraviglioso lungometraggio Hiroshima mon amour, film che a fine aprile potremo riammirare restaurato nelle nostre sale, grazie alla Cineteca di Bologna (che il dio del cinema la benedica!). E allora sarà un godimento vedere insieme l’opera prima e l’ultima, Aimer, boir et chanter, che ricordiamo essere stata insignita dell’Orso d’Argento Alfred Bauer per l’innovazione. Per l’innovazione! E fa un certo effetto che a 91 anni ancora si faccia cinema per rinnovare il linguaggio, per cercare di apportare nuovi valori estetici, magari la sperimentazione di un accento o una virgola dove solitamente non va (come poteva essere uno degli ultimi film, Cuori ad esempio). A pensarci bene dovrebbe stupire poco, visto che al passato solitamente finiscono per guardare i giovani a caccia di ispirazioni, mentre i vecchi si inarcano in avanti per seminare fin dove arriva lo sguardo. Resnais fu un eccezione, perché con il piglio dello sperimentatore ci era nato. L’anno scorso a Marienbad del 1961 (suo secondo lungometraggio) era già una sfida ai cervelli critici dell’epoca, e al pubblico che disertò il botteghino, non potendo capire la totale assenza di realismo e il rompicapo di una sceneggiatura costruita a flashback spesso incomprensibili e con pochissimi dialoghi. Un viaggio mentale prima di Lynch e che sicuramente teneva conto dell’esperienza surrealista senza essere un film surrealista. Vinse il Leone d’Oro.
Tornò su territori più vicini al racconto canonico, dopo lo sfortunato Muriel, ma senza rinunciare alla ricerca di soluzioni nuove tanto nella scrittura quanto nella costruzione del quadro, nelle esplorazioni delle forme montaggio, nelle scelte inedite e mai bizzarre della colonna sonora l'anno scorso(non solo la colonna musica, per intenderci). Solo alcuni titoli: ProvidenceMio zio d’America, film in cui sono centrali ancora una volta i meccanismi psicologici del cervello, Smoking/No Somoking, Parole, Parole, Parole. La rinuncia alla linearità, le sovrapposizioni dei piani temporali, l’incongruenza dei comportamenti di molti dei suoi personaggi rimandano a un universo dove le emozioni trasformano la realtà e il cinema.
Anche sul documentario aveva ragionato in maniera originale, e ne aveva realizzati tanti, soprattutto ad inizio di carriera, sorprendendo per scelte originali anche quando il tema si imponeva con tutto il peso della storia: l’olocausto. Notte e nebbia rimane uno dei docufilm più sconvolgenti della storia del cinema.
In questa stagione fortunata per il documentario (che speriamo non si chiuda precocemente), nel momento in cui il racconto del reale insegue strade nuove trasformando l’informazione in emozione, riguardare l’opera di Resnais non potrà che dare ulteriore impulso. Magari liberandosi una volta per tutte delle etichette che ingabbiano tanto i film di finzione quanto il racconto del vero. Cosa sarà poi questo “vero”?

Alessandro Leone

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