Pareva non avesse più cartucce da sparare William Friedkin. Bug aveva deluso non poco, così privo di ispirazione, così privo di corpi cinematografici interessanti, così poco capace di portare sullo schermo la scrittura di Tracy Letts, che pure in Killer Joe ci ha messo due zampini. Così si ritornava a parlare del regista invecchiato male, quel Friedkin che aveva girato Il braccio violento della legge, Vivere e morire a Las Angeles, Cruising (cresciuto col tempo), ma soprattutto identificato con L’esorcista, un marchio tatuato per sempre e che finisce per trasparire da qualsiasi angolo si osservi il cineasta Friedkin. Nel 2009 Locarno lo aveva insignito con il “Pardo d’Onore” e, alla soglia dei settantacinque, era parso un premio di fine carriera (strameritato, si capisce).
Poi arriva Killer Joe, che in Italia sembrava non dovesse mai uscire in sala. Ci arriva sulla spinta delle critiche unanimemente positive di chi lo vide a Venezia l’anno scorso. Si parlò di un film dalle tinte forti e strabordante di humor nero, in un territorio di mezzo tra i Coen e Tarantino.
La sensazione invece, dopo averlo visto l’anno scorso e rivisto adesso, è che Friedkin abbia distillato il meglio dal testo teatrale di Letts e abbia restituito la sceneggiatura dello stesso Letts con immagini personalissime, imparentate con il suo cinema migliore: occhio capace di inquadrare e innescare diversi livelli di lettura sulla materia che è lì davanti all’obiettivo. Così la vicenda di un misero spacciatore texano che per sciogliere i debiti con un boss, decide col padre, e con il benestare della sorella minore Dottie, di far fuori la madre per intascare il denaro dell’assicurazione, diventa (come solo il miglior cinema di genere sa fare) l’occasione per raccontare una certa America, sbriciolando a spallate uno dei miti del sud statunitense: la famiglia.
Chris Smith (Emile Hirsch) è un mediocre. Suo padre Ansel pure. La madre che non vediamo praticamente mai, abbiamo la sensazione che lo sia, mentre altra certezza è la bassezza della compagna di Ansel, Sharla. Uno spaccato dove regna la banalità e la pochezza di creature la cui umanità si manifesta nella soddisfazione di bisogni primari; individui incapaci di produrre senso diverso dal semplice tirare a vivere con poche aspirazioni tra birre e sesso facile, al massimo musica folk. Killer Joe arriva come un satana invocato, mascherato da tutore dell’ordine, anzi ambiguamente tutore dell’ordine, perché in fondo ciò che fa è proprio mettere ordine alla confusione di intenti di Chris e compagnia, tra sotterfugi e tradimenti mossi dal denaro. Nient’altro che denaro. Il patto col diavolo, che ovviamente pretende sempre risarcimenti adeguati (se non sono i soldi, allora la sorellina verginella), sguaina il corpo crudo degli Smith, che puzza più dello zolfo: putrido già prima del matricidio. E nemmeno Dottie è tanto immacolata e, tutto sommato, sta al gioco con le sue rotelle che girano poco, forse male. O forse semplicemente ha capito dove si trova: un antro oscuro, un corpo sociale marcio e corrotto dento.
Joe, sotto sotto, non è più malvagio di Ansel e Chris, che sembrano costantemente subire l’eros di Dottie. Così l’incesto si consuma per interposta persona, e per questo Chris non si dà pace. Esce ed entra dalle inquadrature con affanno sempre maggiore, mentre Killer Joe (magnifico Matthew McConaughey) tutto d’un pezzo domina nei chiari-scuri come personaggio mitologico, vera coscienza dei dannati.
Il resto è un godimento di azioni al confine tra noir, western e commedia, fino alla resa dei conti con pollo-fallo nella bocca della spregevole Sharla, che lacrima e sanguina sulla coscia fritta (altro simbolo americano, tutt’altro che marginale). Ma lì sotto a succhiare, costretti all’umiliazione è come se ci fossero proprio tutti, condannati in via definitiva. Sarà per questo che l’ultima cena, con tanto di preghiera a Gesù, convoca la famiglia riunita e mostruosa, chiamata a percorrere l’ultimo passo verso l’inferno nell’unico modo possilbile e plausibile: Chris consegnato da Sharla e Ansel come agnello sacrificale sull’altare del demonio, mentre la piccola Dottie annuncia, epifanica, il germoglio del male alimentato dal sangue versato della sua famiglia sterminata. La soluzione è ad un colpo di pistola. Ma è fuori dallo schermo e si perde nel buio della sala. Sorry…
Vivere indegnamente, morire peggio, sperare di non rinascere mai. Accade in Texas.
Accade nel cinema di Friedkin.
Killer Joe è già un cult!
Alessandro Leone
Killer Joe
Regia: William Friedkin. Sceneggiatura: Tracy Letts. Fotografia: Caleb Deschanel. Montaggio: Darrin Navarro. Interpreti: Emile Hirsch, Matthew McConaughey, Gina Gershon, Juno Temple, Thomas Haden Church. Origine: Usa, 2011. Durata: 103′