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SPECIALE Selma – La strada per la libertà

C’era una volta in Alabama

Viene subito da domandarsi come mai nessuno ci avesse pensato prima: raccontare al cinema Martin Luther King, protagonista della recente storia MLKstatunitense, personalità di spicco la cui voce ha rappresentato l’essenza della lotta degli afroamericani, infine personaggio simbolo per almeno tre generazioni e capace di fare breccia non solo nelle comunità nere e non solo entro i confini della Confederazione. Spike Lee per raccontare la lotta contro le discriminazioni razziali nella terra del BigMac aveva scelto Malcolm X, basandosi sull’autobiografia del leader musulmano che, in opposizione alla linea nonviolenta di King, aveva negli stessi anni coalizzato un fronte di protesta arrabbiatissimo. Il pastore di Atlanta, gandhiano, co-fondatore del Southern Christian Leadership Conference, Nobel per la pace nel ’64, e interlocutore di Kennedy prima e di Lyndon Johnson dopo, arriva invece a scaldare le lenti di una macchina da presa, afferrato dall’intelligente regia di Ava DuVernay, che dribbla i rischi di un biopic santificatorio, accendendo invece il fuoco sul cruciale periodo che intercorre tra Oslo (10 dicembre 1964) e il potente discorso del 25 marzo 1965 a Montgomery, in uno degli stati più conservatori e razzisti del sud America. Mesi intensi, violenti, in cui il sogno del Voting Rights, pur non collidendo con gli interessi dell’amministrazione Johnson impegnata nella cosiddetta “Great Society” e già forte del licenziato Civil Rights Act, trova però delle resistenze nello stesso Presidente, preoccupato della probabile perdita di consensi nel profondo sud (non era forse stato eletto conquistando 44 stati su 50?).
Il terreno è viscido. La tentazione di dividere i buoni negri dai cattivi bianchi incappucciati del KKK, facendo del racconto un’apologia della nonviolenza, movies-selmanon sfiora la regista e lo sceneggiatore Paul Webb, che si attengono certamente ai fatti documentati ma che non mancano di dare corpo a un King (eccezionale  David Oyelowo, incredibilmente assente nella cinquina per gli Oscar) umano e fragile, sorretto dai sodali e dalla moglie, ben più della classica donna con le palle che cammina fedele al fianco di un grande uomo. Coretta Scott King (Carmen Ejogo) non è semplicemente costretta in un ruolo, ma è dominata dall’imperativo del rispetto reciproco, dall’esercizio di una dialettica “privata” che non è seconda, nell’eloquente costruzione del pensiero,  alla retorica del marito. Coretta, energica nel proteggere tanto la famiglia quanto l’immagine pubblica di King, diventa per la regista lama, bisturi e filo, con cui tagliare e ricucire la superficie visibile dell’uomo, dopo aver estratto inaspettati corpi estranei. Il leader protestante si scopre fallibile nel privato, a volte incoerente nei comportamenti, non sempre capace di rintuzzare i cedimenti psicologici. Rimane sospesa un’allusione a possibili tradimenti durante le tante campagne promosse dall’SCLC. Proprio questa rotondità diventa la forza del Martin Luther King della DuVernay, uomo tra gli uomini, forte perché accompagnato da un entourage che sa sostenerlo nei momenti difficili ma anche metterne in discussione le scelte impopolari (come la rinuncia ad attraversare con centinaia di manifestanti arrivati da tutto il paese il ponte di Edmund Pettus, dopo il Bloody Sunday di due giorni prima).
Selma è un film a tratti crudo, che non rinuncia alla messa in scena della violenza agita su uomini e donne indifesi, che trattiene dunque nel campo visivo, con le terrificanti percosse dei tutori dell’ordine pubblico, soprattutto la paura profonda dei bianchi, convinti che la sottomissione dei negri fosse selma-pastindispensabile a salvaguardare i valori fondanti della Confederazione e la supremazia di una razza considerata palesemente superiore (magnifico Tim Roth a incarnare l’assunto nei panni di George Wallace, governatore dell’Alabama). La DuVernay nella ricostruzione dei fatti di Selma – che costarono la vita a tanti innocenti e che portarono alla marcia verso Montgomery e allo storico discorso del Presidente Johnson, che annuncia una legislazione che favorisca il voto dei neri nelle circoscrizioni del sud – sovrappone il cinema alle immagini televisive che sconvolsero le case borghesi degli americani: una delle dirette più drammatiche della storia americana pre-11 settembre. I manifestanti, bianchi e neri, anziani e bambini, attaccati da agenti a cavallo e massacrati davanti alle telecamere, diventano icona di una lotta che esce finalmente dai ghetti e dalla periferia degli stati meridionali, per farsi protesta e movimento di massa. Una strategia pensata con cinismo da King e compagni di lotta e che sarà all’origine di frequenti ripensamenti e di una valanga di critiche. Il discorso pronunciato dal leader a Montgomery e le emozionanti immagini di repertorio chiudono il film, fortunatamente, prima dei tragici eventi del 1968, imponendo al pubblico un risarcimento parziale dopo tanta brutalità, ma lasciando uno strano sapore dolciastro tra lingua e palato: la eco del King’s dream stride con l’attualità, 50 anni dopo!
Da godere, sui titoli di coda, Glory, il brano di John Legend che si è aggiudicata il Golden Globe come Migliore Canzone Originale.

Alessandro Leone

L’attualità di Martin Luther King scolorisce nel Passato

Si intitola Selma, il primo film non indipendente di Ava Du Vernay, ultimo lavoro dopo il successo di Middle of Nowhere: narra alcuni mesi della vita di Martin Luther King, quei mesi che hanno segnato la Storia, grazie alla sua lotta che portò alla firma del Voting Rights Act, con cui il Presidente Johnson pose fine alle discriminazioni che impedivano ai neri di esprimere il proprio diritto al voto.King_Johnson
Interessante la scelta di girare la pellicola nei luoghi originali della vicenda, nel sud dell’Alabama, e di inserire le immagini di repertorio; la scrittura del film svela un King iconografico, leader deciso e carismatico, ma anche l’uomo privato, legato alla famiglia, litigioso con la moglie, a volte stanco.
L’approccio alla grande Storia può risultare utile per ricordare e suscitare, in particolare negli spettatori più giovani, quel senso di amore per i grandi ideali, per la politica che parte dal basso e per la giustizia che, oggi, sono trascurati a causa della crisi economica, di un mercato lavorativo sempre più escludente e di una società individualista e competitiva.
Quell’uomo, dagli occhi fermi e dalla voce potente, parla di uguaglianza e di diritti,di possibilità di scelta e di solidarietà: chiede partecipazione e pensiero critico a fronte di gravi razzismi e facili slogan estremisti.
A poco a poco, un popolo intero, quello americano, composto da persone di diversa età, estrazione ed esperienze, prende coscienza del proprio ruolo. Molti, tanti diventano cittadini consapevoli e attivi e, capitanati dal leader nero, contribuiscono ad organizzare quelle tre marce fodamentali a Selma che – insieme selma-film-martin-lutherall’apporto anche degli attivisti per i diritti civili – porteranno alla vittoria. Senza dimenticare, però, che la prima marcia del 7 marzo 1965 fu brutalmente repressa e proprio quella repressione, trasmessa in diretta televisiva, fu un colpo allo stomaco per molti occidentali.
Se vogliamo effettuare una critica alla pellicola, bisogna dire che il film di DuVernay non ha il coraggio di osare: lascia la gioia del Nobel per la Pace e del Voting Rights Act nel passato senza legare quelle lotte alle battaglie ancora in corso per i neri e per i bianchi, per i diritti umani e civili. Enfatizza i discorsi di Martin Luther King, ne sottolinea i successi, senza sottolineare anche le perdite e la fatica. Nemmeno la morte del leader nero viene ricordata come sacrificio per il Bene comune.
Alcune parti importanti, che forse avrebbero dovuto essere più approfondite, vengono relegate alle didascalie e rimane troppo presente sullo schermo la figura di Oprah Winfrey, anche produttrice del film. Ma Selma resta un documento cinematografico, didattico, divulgativo, come detto in precedenza, utile per risvegliare in qualcuno il senso della Memoria e il desiderio di far sentire la propria voce.

Alessandra Montesanto, in collaborazione con  www.peridirittiumani.com

Selma – La strada per la libertà

Regia: Ava DuVernay. Sceneggiatura: Paul Webb. Fotografia: Bradford Young. Montaggio: Spencer Averick. Musiche: John Legend. Interpreti: David Oyelowo, Tom Wilkinson, Tim Roth, Oprah Winfrey, Cuba Gooding Jr., Carmen Ejogo. Origine: Usa, 2014. Durata: 127′. 

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