Self/Less gira attorno alla domanda: cosa sei disposto a sacrificare per vivere più a lungo e in un corpo sano? Il protagonista del film di Tarsem Singh, che ricordiamo regista nell’ottimo debutto The Cell e nei meno indimenticabili Immortals e Biancaneve, è il sessantottenne multimilionario Damian (Ben Kingsley) che, affetto da cancro, incapace di ricucire antichi strappi con Clair, la figlia idealista e attivista, cede alle lusinghe di un’organizzazione segreta che “serve” corpi nuovi a persone facoltose. Il processo denominato “shedding”, concepito dal dottor Albright (Matthew Goode), consiste nel trasferire la coscienza da un corpo malato e vecchio ad uno giovane e sano, salvaguardando così dall’usura del tempo una mente brillante. Peccato che Damian si renda subito conto che quel corpo vigoroso (con le sembianze di Ryan Reynolds) non è stato creato in laboratorio, ma è appartenuto a un marine con tanto di missioni in medio-oriente alle spalle, che ha scelto l’ibernazione in cambio di una cospicua somma di denaro necessaria a correggere un handicap di cui era affetta la figlioletta. A questo punto il cinico industriale e manipolatore quale era Damian scopre che esistono i problemi etici, rintraccia la famiglia del soldato, si carica “moglie” e “figlia” e le difende dagli uomini a servizio di Albright.
Self/Less è un thriller psicologico a metà, e a metà mantiene le promesse iniziali che inducono lo spettatore a credere che il trasferimento di una coscienza su un corpo estraneo possa essere spunto per una riflessione sul doppio e la scissione. Chiaro, la psichiatria non può trovare posto in un film che nasce come un fantasy, ma le virate improvvise verso l’action che caratterizzano l’ultima fatica di Singh, se da un lato dettano ritmi che alzano la tensione del racconto, dall’altra lo impoveriscono, lasciando latenti, nemmeno in sottotraccia, la rivoluzione psicologica del vedersi nuovo allo specchio (come era nella commedia di Edwards Nei panni di una bionda, ma anche in Time di Kim Ki-duk, in una deriva schizofrenica). Non basta, perché Damian, che nella nuova vita gode di un corpo che gioca a basket e copula con naturalezza, deve presto fare i conti con una terza entità, ovvero la coscienza dell’uomo che fino a poco tempo prima ha abitato quel corpo. I ricordi sepolti del marine assumono così un valore narrativo duplice: accendere il racconto verso un’avventura che coinvolgerà persone innocenti (quindi da difendere); condurre l’uomo al bivio della scelta, cioè continuare a essere se stesso, espellendo una volta per tutte l’ospite, o morire come Damian. In entrambi i casi la soluzione passa per Albright. Ma la domanda “chi sono davvero e cosa voglio essere” purtroppo interroga il protagonista in modo superficiale, lontanissimo dal Tom Stall cronenberghiano di A History of Violence, che costretto ad uscire dal suo doppio, un pacifico padre di famiglia, si trasformava in una macchina da guerra per difendere il suo nucleo affettivo.
L’interesse di Tarsem Singh sembra focalizzato maggiormente sul desiderio di immortalità dell’uomo, che negli ultimi decenni sta spingendo la ricerca scientifica verso l’elisir di lunga vita (impiego di antiossidanti per ritardare l’invecchiamento), ma anche al raggiungimento di obiettivi inimmaginabili che potrebbero addirittura digitalizzare la coscienza umana, con riferimento al sogno fantascientifico del magnate russo Dmitry Itskov e della sua 2045 Initative. Siamo certamente all’evoluzione dell’idea del Golem, che non produce però intelligenza artificiale (vedi le suggestioni di Blade Runner, A.I., Eva, Her, Ex_machina), ma devia verso l’autoconservazione.
Come sempre attento alla composizione dell’immagini, forte di un’idea estetica elegante che contraddistingue il suo lavoro, dagli esordi come regista di videoclip e pubblicità fino al cinema, Singh sembra a tratti perdersi nei grovigli della sceneggiatura, gettando semi che non sempre germogliano, evocando piuttosto temi esistenziali e colossi di natura morale che paiono spesso degli impacci di cui disfarsi.
Alessandro Leone
Self/Less
Regia: Tarsem Singh. Sceneggiatura: Alex e David Pastor. Fotografia: Brendan Galvin. Montaggio: Robert Duffy. Musiche: Antonio Pinto. Interpreti: Ben Kingsley, Matthew Goode, Ryan Reynolds, Natalie Martinez. Origine: Usa, 2015. Durata: 117′.