Se la strada potesse parlare è un affresco di vita afroamericana dei primi anni ’70, adattamento per il grande schermo dell’omonimo romanzo firmato da James Baldwin. Girato a St. Nicholas Avenue ad Harlem, nel quartiere dove Baldwin stesso era cresciuto, il film del regista e sceneggiatore Barry Jenkins (già autore del pluripremiato Moonlight) racconta della trasformazione di un’amicizia d’infanzia in una storia d’amore piena di passione, rispetto e fiducia.
Lei è Tish Rivers (Kiki Layne), lui Alonzo Hunt, detto Fonny (Stephan James). Entrambi crescono nella comunità nera newyorkese, con presupposti famigliari molto diversi: Fonny passa più tempo a casa di Tish che altrove, e questo sottolinea il caloroso modello famigliare ambito. La loro lunga e profonda amicizia si trasforma così in un desiderio di unione, che viene però interrotto dall’improvviso arresto di Fonny per una falsa accusa di stupro. L’Agente Bell (Ed Skrein), colui che raccoglie la disperata accusa della donna portoricana violata, incarna il bigottismo bianco tipico di quegli anni. Che il mondo dei bianchi sia contro la comunità nera lo si conferma anche attraverso l’opinione di un giovane avvocato (Finn Wittrock), che cerca invano di trovare soluzione al caso e di aiutare Tish che scopre, ad un certo punto, di essere incinta. La reazione famigliare all’ingiustizia politica é forte ma eterogenea: i genitori di Fonny lottano contro una sensazione d’impotenza e si aggrappano alla fede, mentre la famiglia di Tish interviene, per quanto possibile, concretamente. Sharon (Regina King) e Joseph (Colman Domingo) sono i genitori di Tish che hanno potuto, ma in maniera del tutto casuale, crescere nel sogno americano e cercano di aiutare la giovane coppia che non riesce ad ottenere la stessa opportunità di riscatto. Il controverso contesto razziale americano che dà vita a questa vicenda viene testimoniato, appena prima dell’incarcerazione del ragazzo, da uno dei suoi amici, Daniel Carty (Brian Tyree Henry). Daniel infatti lo conosciamo appena dopo un’ingiusta detenzione, e ci preannuncia, silenziosamente, il terribile futuro di Fonny dietro le sbarre. Continue sono le visite di Tish al carcere, per far si che la speranza di ricongiungimento non si affievolisca. Tish, innamorata e giovane, dovrà ridimensionare la sua idea di realtà, ma non lascerà mai la speranza di rivedere Fonny come un padre libero.
Resilienza quindi, nonostante gli interventi del potere bianco per distruggere un legame amoroso così puro. Peso emotivo, del dimostrare la propria innocenza o la verità, che non possono essere descritte da nessuna statistica né comunità specifiche. Amore, fotografato nella sua vibrante essenza, come la volontà dell’individuo di credere nella sua potenza. Potrebbe sembrare strano, ma esistono ancora tanti Tish e Fonny negli Stati Uniti: il romanzo, scritto tra il 1968 e il 1973, appare oggi più che mai ragionevole, e l’amore può sì provare a trascendere il dolore.
Giulia Peruzzotti
Se la strada potesse parlare
Sceneggiatura e regia: Barry Jenkins. Fotografia: James Laxton. Montaggio: Joi Mcmillon, Ace e Nat Sanders. Musiche: Nicholas Britell, Gabe Hilfer. Interpreti: Kiki Layne, Stephan James, Regina King, Teyonah Parris, Colman Domingo. Origine: USA, 2018. Durata: 119′.