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Se di tutto resta un poco

locandina-tabucchi-ridottaIl nome di Antonio Tabucchi, ormai, è nome noto ad ogni italiano. Almeno per sentito dire, o magari per vaghe reminiscenze scolastiche, l’italiano medio sa di avere, o di avere avuto, un Antonio Tabucchi in patria. Sa che è famoso, ma non di quella fama televisiva; forse uno scrittore, o meglio (per non sbagliare) un intellettuale, come si suol dire. Per altri, poi, c’è il Tabucchi di Notturno Indiano, quel libro che “oltre che un’insonnia, è un viaggio”, o ancora il Tabucchi di Sostiene Pereira, una storia di coscienza politica ed eroismo resa ancor più nota dall’interpretazione di Mastroianni nell’omonimo film del ’95. O ancora il Tabucchi dei racconti brevi, dai Piccoli equivoci senza importanza fino al più recente Il tempo invecchia in fretta.
L’ambizione di Diego Perucci, nel suo documentario dedicato allo scrittore, è proprio quella di andare oltre il Tabucchi delle librerie, il Tabucchi dei banchi di scuola o dei libri da comodino, trovando il Tabucchi padre, il Tabucchi marito, il Tabucchi amico, professore, viaggiatore: l’uomo Antonio Tabucchi. Se di tutto resta un poco è un documentario fedele, dettagliato, che cerca di costruire un’immagine dell’autore il più completa possibile, attraverso la voce di chi Tabucchi l’ha conosciuto davvero, svelando quel che ai lettori, normalmente, resta nascosto dietro un curriculum da copertina.
Ma per quanto il progetto sia mosso da intenzioni edificanti, per quanto sia l’esito dello sforzo congiunto di una “confederazione delle anime” – così il testo di presentazione del blog Dottor Cardoso, coproduttore del documentario – gli esiti sono decisamente al di sotto delle aspettative. Alle inquadrature di pittoreschi angoli di Lisbona, Roma, Siena, Firenze e Parigi, degne di un turista giapponese in Grand Tour, si alternano fotografie di Tabucchi, fotografie dei manoscritti di Tabucchi, fotografie della famiglia di Tabucchi, pagine di giornale che inneggiano ai successi editoriali di Tabucchi, primi piani dei libri di Tabucchi, il tutto accompagnato da interviste ad amici di Tabucchi, figli di Tabucchi, allievi di Tabucchi, e così via. Il Tabucchi viene descritto come un uomo impegnato in “cause veramente umane”, un uomo che “non aveva paura di dire quello che pensava”, coraggioso e un po’ dolente, mosso ovviamente da un profondo “impegno civile” e capace di intonare sempre una “voce fuori dal coro”. Il Tabucchi con la matita dietro l’orecchio, troppo assorto nel suo lavoro da ricordarsi del mondo esterno, emblema di severità e di un “rigore che a tratti diventa intransigenza” (o qualcosa del genere). Quel Tabucchi il cui ricordo suscita lacrime commosse, al suono struggente del fado portoghese. Un Tabucchi stilizzato, caricaturale: saggio, buono, integerrimo, antiberlusconiano – l’idea platonica del lettore medio di Repubblica, insomma.


Potremmo parlare di un esperimento riuscito male, forse per l’eccessivo coinvolgimento emotivo dei partecipanti, forse per ingenuità o anche per inesperienza registica. Certo è che si oscilla tra un prodotto fin troppo domestico e un melenso necrologio. Ma il vero volto oscuro del film è la sua natura di generoso carosello di amici e allievi scrittori di Antonio Tabucchi, le cui copertine, inquadrate in primi piani a effetto, inframmezzate a vedute di rua De Saudade e Piazza del Campo, scorrono inesorabili. Resta da sperare che lo scivolone sia involontario, e che se, come scrisse lo stesso Tabucchi, di tutto resta un poco, per una volta la storia (del cinema, nella fattispecie) possa fare un’eccezione.

 Monica Cristini

Se di tutto resta un poco

Regia: Diego Perucci. Origine: Italia, 2018. Durata: 55′.

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