L’antropologia ci insegna che le identità culturali non rispettano i confini territoriali e che, di contro, nel perimetro degli stessi confini convivono popolazioni diverse per idioma e costumi. I processi storici hanno poi in taluni casi avvicinato le differenze, a volte mescolato, altre ancora cancellato drammaticamente ceppi linguistici o isole etniche. Sàmi Blood, vincitore del Premio Lux 2017, partendo da uno spunto autobiografico, racconta delle discriminazioni cui furono sottoposti gli indigeni della Làpponia, una terra per noi quasi mitologica ma in realtà una nazione con tradizioni antichissime, che si estende tra Norvegia, Finlandia, Svezia e Russia.
Una donna di quasi ottant’anni (personaggio ispirato alla nonna dell’esordiente regista) torna nella sua terra d’origine, in Làpponia, conosciuta anche come terra dei sàmi. L’occasione è triste, perché si celebra il funerale della sorella. Nonostante ciò la donna non sembra tradire emozioni, ma desidera solo tornare presto a casa. Rifiutata l’ospitalità dei parenti, si rifugia in un albergo dove si perde in un ricordo che la riporta negli anni ’30, quando aveva quattordici anni e veniva chiamata con il suo vero nome: Ella-Marja. Cresciuta tra allevatori di renne, emarginata come tutta la popolazione sàmi dagli svedesi, viene inviata con la sorella minore Njenna in una scuola per soli bambini sàmi e, con loro, sottoposta alle umilianti pratiche che ne certifichino la razza. Portata per gli studi, Ella-Marja decide di scappare dopo aver conosciuto Niklas, che abita in Uppsala. Il suo desiderio di essere riconosciuta come svedese si imbatterà nei preconcetti di chi vede nei sàmi il folklore di una comunità ritenuta inferiore.
Amanda Kernell, con mano sicura, dirige un dramma esistenziale che non è certo un trattato di antropologia o un racconto documentaristico su un periodo storico, gli anni ’30, quando il colonialismo svedese imponeva una civilizzazione forzata alle tribù sàmi; attraverso la protagonista Ella-Marja intende aprire invece una riflessione profonda che, nonostante la specificità del contesto culturale in oggetto, è possibile estendere ad altre aree geografiche. Travolti dai preconcetti e vessati loro malgrado dalla scienza cieca di stampo lombrosiano che declassava i sàmi a razza inferiore, le tribù rimanevano confinate in una zona “protetta” per svolgere le mansioni di sempre (pescare o allevare renne), come sembra far intendere l’insegnante di Elle-Marja quando le consiglia di abbandonare l’idea di studiare e di trasferirsi in città, ambiente inospitale e che l’avrebbe consegnata a morte sicura. Tra eugenetica e teorie di biologia razziale, l’educazione nella scuola sàmi in cui vengono trasferite Elle-Marja e Njenna (sorelle anche nella vita) non nasconde il tentativo presuntuoso e arrogante di civilizzazione che corre parallelo allo studio laboratoriale di un ceppo etnico ritenuto inferiore (quasi insopportabile la sequenza della misurazione del cranio e l’umiliante svestizione delle ragazze davanti al fotografo e a un pubblico di adolescenti spioni).
Elle-Marja, decisa a trovare una sintesi tra assimilazione e radici culturali, vive un’avventura schizofrenica: il desiderio di fuga tradisce la corsa verso un’emancipazione che chiude prima di tutto con il proprio passato, trasformando la propria identità (si farà chiamare Christina come la sua insegnante), sostituendo lo svedese al sàmi, nonostante i tratti somatici e la corporatura dichiarino senza ombra di dubbio l’origine làppone, bruciando gli abiti tradizionali e ripudiando la famiglia e le terre selvagge del nord. Illusa di trovare accoglienza in casa della famiglia borghese di Niklas, lei che aveva rifiutato di essere “animale da circo”, accetta di cantare il tradizionale joik davanti alle amiche del ragazzo, una performance umiliante sotto la veste bugiarda dell’interculturalità, divenendo ancora oggetto di studio.
Lene Cecilia Sparrok, attrice non professionista, è magnifica nella rappresentazione di un panorama emotivo contradditorio, nel trasferire al di qua dello schermo tutta la complessità di un disagio esistenziale che cerca soluzione guardando lontano nel futuro dopo aver rinnegato il proprio sangue. Eppure, la cornice malinconica in cui la sua avventura in flash-back è chiusa, il rimpianto che sembra trasparire dall’ultimo finalmente commosso abbraccio dell’anziana Christina al corpo morto della sorella, lascia immaginare quanto quel futuro non raccontato nel film (ovvero gli anni della maturità), si sia rivelato, come recitava una poesia regalata a Elle-Marja dalla sua insegnante, “una terra che non c’è”.
Alessandro Leone
Sàmi Blood
Sceneggiatura e regia: Amanda Kernell. Fotografia: Sophia Olsson, Petrus Sjövik. Montaggio: Anders Skov. Interpreti: Lene Cecilia Sparrok, Mia Erika Sparrok, Maj-Doris Rimpi, Julius Fleischanderl, Olle Sarri, Hanna Alström, Katarina Blind. Origine: Svezia, 2016. Durata: 110’.