E’ una commedia di interni l’ultimo lavoro di Laurent Cantet, se non fosse che è quasi tutta girata su una terrazza. Quattro amici (una donna e tre uomini) si ritrovano per accogliere Amadeo, tornato dopo quindici anni di esilio a Madrid. Sotto il sole che scalda le ultime ore della giornata, poi a cena nella modesta cucina di Aldo (padrone di casa), ancora fuori aspettando l’alba con il Malecon sullo sfondo, i cinque amici si aprono a riflessioni sul tempo passato, sulle gioie, sui dolori per i tradimenti ideologici, sulle occasioni e le opportunità mancate.
Ritorno a l’Avana come Il grande freddo di Kasdan, ma senza morti da piangere e meno ipocrisie, sicuramente senza conti da saldare, almeno in apparenza. I cinque personaggi si amano e per questo cercano per tutta la durata del film (90′ che racchiudono le ore dal tramonto all’alba) di costringersi ad una schietta rappresentazione del tempo trascorso sui corpi e nell’anima in piena Revolucion, facendo emergere il non detto sedimentato nei cuori. Tre momenti – aperitivo, cena, colazione – che sono poi un atto unico, un flusso di dialoghi calibrati da Cantet e dal romanziere cubano Leonardo Padura e mirati a tirar fuori piccoli conflitti tra chi è rimasto a lottare, chi ha lasciato l’isola, chi ha abdicato (Eddy, il più cinico) per inventarsi imprenditore. A confronto modi d’essere e interpretazioni della storia cubana contemporanea. Una ‘classe’ (tanto per citare forse il capolavoro del regista francese) di piccoli professori senza allievi, tanto che il figlio diciottenne di Aldo, che si unisce al gruppo per la cena, mette le distanze tra lui e una generazione a cui non riconosce troppi meriti. Tanìa, Rafa, Eddy, Aldo e Amadeo, sono intellettuali e artisti che hanno cercato un linguaggio per raccontare la sofferenza per la mancata concretizzazione di una promessa: socialismo progressista e libertà individuali.
I cinque straordinari attori giocano su un copione che somiglia tanto a un canovaccio, passando dai toni comodi di una rimpatriata tra amici alla progressiva distruzione della patina lucida della nostalgia per i bei tempi, fino alla “messa in crisi” del gruppo e alla soluzione finale, con la confessione di Amadeo che spiega i motivi della fuga improvvisa e del ritorno ad Itaca (come recita il titolo originale) altrettanto improvviso. Cantet lascia ai suoi interpreti il compito di caricare il film di intensità, di imprimere accelerazioni e pause, di trasformare il vissuto in emozione. Non un commento sonoro che non sia la musica diegetica che arriva dalla radio di qualche abitazione vicina o un suono portato dal mare. Il montaggio segue il ritmo delle battute, servo (come già fu in La classe) dei volti degli attori in scena. Non è un congegno perfetto alla Carnage di Polanski, ma che si tratti di una piccola carneficina ideologica si capisce a più riprese, nella straziante messa in scena di cinque vite che in maniera diversa sentono di rappresentare una generazione derubata.
Vera Mandusich
Ritorno a l’Avana
Regia: Laurent Cantet. Sceneggiatura: Leonardo Padura, Laurent Cantet. Fotografia: Diego Dussuel. Montaggio: Robin Campillo. Interpreti: Fernando Hechevarrìa, Isabel Santos, Jorge Perugorrìa, Néstor Jiménez, Pedro Julio Diaz Ferràn. Origine: Francia, 2014. Durata: 90′.