Ognuno di noi si è interrogato almeno una volta nella vita sull’origine del male, su ciò che anima l’efferatezza degli uomini, specialmente quando a farne le spese sono donne, bambini, anziani, civili innocenti; ognuno di noi si è altresì convinto che per ogni crimine commesso debba corrispondere necessariamente una pena, sia che la si intenda come mero castigo, sia come deterrente per altri delitti, sia come pratica correttiva e riabilitativa. I criteri di giustizia, tuttavia, non sono sempre applicabili con lo stesso metro e v’è un ambito in cui il crimine, specie se molto grave, sfugge al giudizio della ragione e dell’etica. È ciò che Hannah Arendt definiva il «male assoluto», un male che scaturisce da individui privati della propria singolarità, incapaci di mettere a confronto i concetti di giusto e sbagliato; uomini assuefatti alle regole condivise e al luogo comune al punto da arrivare a commettere orrendi omicidi con la stessa naturalezza e disinvoltura con cui sono soliti cambiare l’acqua del pesce rosso, e per questo motivo non giudicabili, in quanto i principi stessi di colpevolezza e responsabilità implicano un’intenzionalità di partenza, un libero discernimento di natura morale tra più opzioni possibili.
Avvalendosi di uno stile narrativo accattivante, a metà tra il road movie e il thriller hitchcockiano, il regista di origine armena Atom Egoyan allestisce un perfetto gioco di specchi in cui colpevolezza e innocenza, carnefice e vittima, inseguito e inseguitore finiscono per fondersi nel crogiolo oblioso della mente. Protagonista di questo inquietante cammino verso il baratro è Zev Guttman (Christopher Plummer), ebreo novantenne, superstite del campo di sterminio di Auchwitz, da tempo affetto da demenza senile e ospite di una casa di riposo per famiglie abbienti. Zev viene a sapere dall’amico Max Rosenbaum (Martin Landau), anch’egli ebreo e degente della clinica, che l’ufficiale delle SS responsabile dell’uccisione delle loro famiglie è ancora vivo, nascosto, sotto il falso nome di Rudy Kurlander, in un imprecisato luogo tra gli Stati Uniti e il Canada. Max fa promettere a Zev di cercare il criminale nazista e di ucciderlo, una volta appurata la sua vera identità. Già, perché i Kurlander sospettati di essere l’aguzzino Otto Wallish sono ben quattro, e compito di Zev è scoprire quale sia quello vero, in quanto unica persona al mondo ancora in grado di riconoscerlo. Zev fugge così dalla casa di riposo e, attenendosi alle dettagliate indicazioni scritte fornitegli da Max, si mette alla ricerca del proprio nemico di gioventù.
Con straordinario talento shakespeariano, Egoyan scava nell’intimità dell’uomo ordinario, dell’individuo qualunque, colto nella disperata smania di appropriarsi dell’identità negata, di sovvertire una trama già scritta all’interno della quale i ruoli sono stati completamente azzerati in nome di un’ideologia dominante i cui slogan deliranti urlati dai balconi e dalle colonne di automi in parata riecheggiano ancora nella sorda, senescente memoria della storia. Con Remember Egoyan non realizza un’operazione di revisionismo storico – il verdetto sulla stagione hitleriana è stato da tempo emesso, e alla domanda: «chi è un nazista?», la risposta è inequivocabile: «una persona cattiva» –; e non si propone neppure di commemorare la sofferenza di un popolo perseguitato, ma semplicemente di mettere in scena la disorientante ambivalenza insita nella «banalità del male». Niente rimozione di pensieri scomodi dunque, bensì il disagio di una mente alienata, alla ricerca di un ruolo chiaro da assumere che non sia quello dell’uomo disciolto nella massa, dell’individuo qualunque, del mero esecutore di ordini, del burocrate kafkiano. L’inquietante paradosso è altresì sottolineato dal sottile ricorso all’ironia, che Egoyan dosa con un gusto tipicamente ebraico, come quando il poliziotto neonazista (Dean Norris) scopre che Zev è un ebreo e, gonfiando il petto di collera xenofoba, mette involontariamente in risalto la propria stella da sceriffo appuntata sul petto della divisa, la cui forma rimanda incoerentemente alla stella gialla di David cucita sui pigiami a righe dei prigionieri dei campi di concentramento; o come quando sullo schermo del televisore della camera d’ospedale, il personaggio dei cartoni animati muove la bocca in perfetto sincrono al testo del foglio scritto da Max, letto a voce alta dalla figlioletta curiosa di uno sconosciuto degente.
Supportato dall’interpretazione superlativa di Christopher Plummer, Engoyan costruisce una sofisticata architettura narrativo-cognitiva in cui le emozioni, lungi dal trovare la giusta collocazione, seguitano vagare nel labirinto dei significati, fino a implodere di fronte alla terribile verità, che vuole il crimine non coincidere più non solo con il reato, ma neppure con il peccato.
Manuel Farina
Remember
Regia: Atom Egoyan. Sceneggiatura: Benjamin August. Fotografia: Paul Sarossy. Montaggio: Christopher Donaldson. Interpreti: Christopher Plummer, Martin Landau, Bruno Ganz, Dean Norris, Jürgen Prochnow, Heinz Lieven. Origine: Canada/Germania, 2015. Durata: 95’.