Pare già tutto tramontato. Il buio della sera e il buio dell’immaginazione non lasciano scampo.
La Tv del reale pretendeva di essere un’altra cosa, osava sguardi anche sgradevoli sulla vita, colta in fragrante nelle tensioni più acute; la televisione italiana che ricordava di avere un debito con il cinema neorealsita, ma anche con la commedia più graffiante (che ci seppelliva di risate fino a soffocarci di lacrime amare), si sforzava di entrare nelle pieghe del nostro paese, così sfaccettato nella sua radicale “multietnicità”. Attenzione! correggo il tiro: stiamo parlando delle spinte dall’esterno di intellettuali come Moravia e Pasolini, che dal tubo catodico ci passavano con la forza delle idee e lo sforzo di una documentazione, che pure denunciava la massificazione in corso, di cui la stessa televisione di stato si stava rendendo complice, nonostante Bernabei, Zavoli, più tardi Guglielmi. Non sarebbero bastate le “prese dirette” sul mondo per rintuzzare la spettacolare Tv degli anni 80, privata e libera di interferire con qualsiasi progetto culturale, individuando nella “neve” dell’assenza di segnale la materia ideale per modellare immagini che contenessero il più grande market di tutti i tempi.
S’era detto, poi s’è fatto: la televisione non poteva riscattare le masse dall’omologazione, il linguaggio banale ben si adattava a contenitori banali, che agevolavano la costruzione di un tessuto sociale banalmente identificato dal desiderio crescente di farsi consumatore vorace. Non che dovesse essere obbligatoriamente la Tv a educare il gregge. Forse s’era preso un abbaglio, forse non era nella natura del mezzo. O più semplicemente, di riflesso, tra pesi e contrappesi, nicchie e arene di pubblico hanno coinciso con gli strati sociali che sedimentano il sistema culturale (basso e alto che sia).
La Tv del reale, come il cinema del reale, non si sono confusi con la Tv e il cinema della realtà, profanata dallo spettacolo indecente di un universo finto che ha prodotto paralleli desiderabili. Al contrario: quei paralleli sono la punta di un iceberg che è tanto reale quanto la vita dell’ultimo dei disoccupati o dei pescivendoli che sognano di vestirsi come lo Sceicco Bianco e volare sulle teste di giovani con l’adrenalina a palla in una discoteca qualsiasi di un centro qualsiasi.
Garrone lo ha capito bene, nel momento in cui traccia un ritratto impietoso del pescivendolo, della caricatura di un triste Sceicco Bianco, della folla acclamante che si agita su una pista luccicante. Tutto è reality e ci parla davvero della nostra italia con la “i” minuscola. Ma dignitosamente minuscola, secondo Garrone. O diremmo minuscola suo malgrado. Un paese perso nella frattura tra ricchi e poveri, che diventa un baratro dove peraltro ancora albergano le infinite possibilità di un gratta e vinci da dieci euro (che sono poi due pacchi di pasta, un sugo pronto, due uova, mezzo chilo di pane: dico… un pranzo!). Il gratta e vinci di Luciano il pescivendolo è sbiadito e non si capisce se sia vincente o meno. È una promessa da guardare in filigrana. Sarà per questo che realtà e sogno si mescolano ma senza oltrepassare i confini che portano davvero al cinema di Fellini, rimanendo di grana dura, nei limiti della deformazione della follia pura.
Il reality di Luciano sposta la macchina scenografica della casa di un Grande Fratello ormai ridotto alla reiterazione di stereotipi marginali (almeno dal punto di vista antropologico), verso il teatro barocco del suo quartiere di Napoli: il cortile, la piazza, i pochi interni, location della disperazione dove sarebbe improbabile qualsiasi miracolo. E infatti il cellulare che dovrebbe squillare e annunciare l’invito nella Casa, rimane inchiodato nel silenzio, mentre Luciano, ingoiato dallo schermo domestico a guardare il niente con il desiderio di entrarci per scoprire che potrebbe esserci qualcosa (forse corpi veri e un erotismo vero), paranoico sente voci e presenze che dovrebbero giudicarlo e proclamarlo personaggio idoneo al GF. Così, dopo aver venduto la pescheria, rinuncia pure alle truffe con cui arrotondava il mese; poi svuota mezza casa per regalarla ai disperati del quartiere, abbracciando per un attimo anche la chiesa.
La trovata di scrittura è gustosa, perché accenta l’equivoco del poveraccio che pensa di dover diventare una persona migliore per poter accedere all’al-di-là televisivo della bellezza eterna. Invece la Macchina del GF avrebbe forse preferito un bastardo truffatore, che vende a caro prezzo pesce marcio, che adora camuffarsi da donna e cantare canzoncine sconce nei matrimoni. Essere non meglio, ma un po’ peggio di se stesso, avrebbe chiuso il cerchio in favore di Luciano.
Garrone, dopo una prima metà eccezionale nella sua brutale assenza di pietà, si addormenta nella seconda parte del film, come ipnotizzato dalla metamorfosi folle di Luciano, sostando nella casa sempre più vuota del suo campione, liquidando in poche scenette la conversione che lo porterà in processione cattolica verso il Colosseo, e che invece diventa semplicemente funzionale al finale, bellissimo e finalmente onirico, quando, varcato un accesso secondario, Luciano accede nell’intestino del GF come fosse un virus. Tra stupore e compiacimento assapora lo spettacolo di corpi estranei al mondo, immersi in un acquario che ricorda tanto i liquidi alcolici utilizzati per conservare le mostruosità di natura.
Che sia dentro o che sia fuori, nulla serve più al reale del pescivendolo. Tutto è vero e falso e non si sa più chi stia guardano chi. L’ultima risata amara seppellisce Luciano appena sotto l’ombelico del Mostro, intrappolato forse per sempre nella luce accecante di un’illusione.
A pensarci bene, mentre la macchina del cinema di Garrone abbandona Luciano e il film, il ritaglio giallo nella Roma blù crepuscolare ci ricorda che Lucignolo, ai margini del paese dei Balocchi, aspetta ancora d’essere chiamato: quel buco giallo fuoco ha la sagoma di una Sim-Card.
Alessandro Leone
Reality
Regia: Matteo Garrone. Sceneggiatura: Maurizio Braucci, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso, M. Garrone. Fotografia: Marco Onorato. Montaggio: Marco Spoletini. Interpreti: Aniello Arena, Loredana Simioli, Nunzia Schiano, Nello Iorio, Raffaele Ferrante. Origine: Italia, 2012. Durata: 115′